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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2014 alle ore 09:52.
L'ultima modifica è del 25 maggio 2014 alle ore 21:54.

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(LaPresse)(LaPresse)

BETLEMME - Prima di arrivare alla piazza della Mangiatoia, a Betlemme, dove era atteso da 10mila persone, a sopresa si è fermato al muro di divisione tra Israele e Palestina. Sotto una torretta di guardia il Pontefice è sceso dalla jeep bianca scoperta, quindi ha poggiato la testa per un attimo sul cemento armato. Un gesto forte, senza parole, ma ricco di profondo significato, contro le barriere tra le genti, pur nel rispetto della reciproca sicurezza. Quando è arrivato nella piazza di fronte alla Basilica della Natività Papa Francesco è stato salutato dallo sventolio di bandiere palestinesi e con i colori del Vaticano, e un canto incessante. Nel cuore arabo-cristiano del Medio Oriente, terra palestinese divisa da Gerusalemme dal muro di sicurezza, i contrasti sono più evidenti.

Il Papa ha iniziato la giornata incontrando i vertici dell'Anp, e in particolare il presidente Mahmoud Abbas, che ha salutato come «uomo di pace» e ha augurato ai popoli israeliano e palestinese di intraprendere «un esodo verso la pace». L'appello di Francesco è risuonato forte: «Il Medio Oriente da decenni vive le drammatiche conseguenze del protrarsi di un conflitto che ha prodotto tante ferite difficili da rimarginare e, anche quando fortunatamente non divampa la violenza, l'incertezza della situazione e l'incomprensione tra le parti producono insicurezza, diritti negati, isolamento ed esodo di intere comunità, divisioni, carenze e sofferenze di ogni tipo».

Nella giornata Bergoglio è andato al campo profughi di Dheisheh, per un incontro con i bambini. «Nel manifestare la mia vicinanza a quanti soffrono maggiormente le conseguenze di tale conflitto, vorrei dire dal profondo del mio cuore che è di porre fine a questa situazione, che diventa sempre più inaccettabile, e ciò per il bene di tutti. Si raddoppino dunque gli sforzi e le iniziative volte a creare le condizioni di una pace stabile, basata sulla giustizia, sul riconoscimento dei diritti di ciascuno e sulla reciproca sicurezza.» Adesso «è giunto il momento per tutti di avere il coraggio della generosità e della creatività al servizio del bene, il coraggio della pace, che poggia sul riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti».

Nel pomeriggio il Papa ha lasciato in elicottero Betlemme per recarsi all'aeroporto di Tel Aviv, in Israele. Di lì è andato a Gerusalemme dove lo attende l'incontro centrale del pellegrinaggio in Terra Santa, quello con il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo (Betlemme dista da Gerusalemme solo 12 chilometri ma per il protocollo diplomatico il Papa deve passare per l'aeroporto di Ben Gurion di Tel Aviv).

In Israele il Papa rinnoverà l'appello alla ripresa del dialogo, che negli ultimi mesi è tornato in alto mare. «Auguro ai popoli palestinese e israeliano e alle rispettive autorità di intraprendere questo felice esodo verso la pace con quel coraggio e quella fermezza necessari per ogni esodo. La pace nella sicurezza e la mutua fiducia diverranno il quadro di riferimento stabile per affrontare e risolvere gli altri problemi».

L'omelia della messa è dedicata ai bambini, presenti in massa nella piazza. «Purtroppo, in questo nostro mondo che ha sviluppato le tecnologie più sofisticate, ci sono ancora tanti bambini in condizioni disumane, che vivono ai margini della società, nelle periferie delle grandi città o nelle zone rurali. Tanti bambini sono ancora oggi sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti. Troppi bambini oggi sono profughi, rifugiati, a volte affondati nei mari, specialmente nelle acque del Mediterraneo. Di tutto questo noi ci vergogniamo oggi davanti a Dio che si è fatto Bambino». E ancora: «Anche oggi piangono i bambini, piangono molto, e il loro pianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per le malattie facilmente curabili. In un tempo che proclama la tutela dei minori, si commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi. Il loro pianto è soffocato: devono combattere, devono lavorare, non possono piangere! Ma piangono le loro madri...».

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