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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2014 alle ore 07:40.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:45.

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Tra un anno ci saranno le elezioni regionali in Veneto, un anno di tempo per verificare se Matteo Renzi è stato un abbaglio in terra di Nord-Est oppure no. Certo è che dal 2013 a oggi ha portato in dote al Pd un bottino sostanzioso anche se non è detto che sia una conquista per sempre.

La patria di Lega e Forza Italia, lo "Zaiastan", stende i tappeti rossi al neopremier e gli regala voti se è vero quello che dice Roberto Weber di Ixè: «Sono 700mila i voti trasmigrati da Forza Italia verso Renzi, gran parte del "trasloco" c'è stato proprio al Nord. Ma sia chiaro, qui vince Renzi, non il Pd. È lui che ha convinto un blocco sociale che non ha mai guardato a sinistra». Un'investitura personale, insomma, che non è un «sì» per sempre. È una prova di convivenza, che sarà vissuta con curiosità e qualche diffidenza e che, appunto, ha una scadenza: l'elezione del presidente del Veneto nel 2015.
L'investitura a Renzi è arrivata dopo promesse efficaci e qualche impegno mantenuto. È piaciuta l'approvazione del decreto lavoro, ha spiazzato il duello con la Cgil della Camusso, ha funzionato la promessa dell'abolizione del Senato e ora si aspetta il piatto forte: la riforma della pubblica amministrazione. È come se Renzi fosse riuscito a invertire l'agenda-standard del Nord sostituendo allo slogan "basta tasse" dell'era berlusconiana, quello della riforma dello Stato e delle istituzioni. «Il vero cambiamento è che si è passati dalle parole di Visco sugli evasori del Nord-Est "nemici" dello Stato a Renzi che invece ha indicato nello Stato l'"avversario" da cambiare, alleggerire. È stato questo il messaggio efficace e convincente». Lo dice Giorgio Tonini, senatore del Pd, e ne sa qualcosa, non solo perché vive da quelle parti ma perché era con Veltroni nel 2008 quando si fecero i primi tentativi di "scongelamento" del Nord. E in effetti mai (o quasi mai) si era visto un presidente della Confindustria Veneto che desse un'apertura di credito a un leader di centro-sinistra. È accaduto con Roberto Zuccato che già un mese fa – e poi a pochi giorni dal voto – si era detto fiducioso nella proposta di Renzi. E oggi lo conferma ma senza dare deleghe in bianco o prive di scadenza. «Il premier è entrato in sintonia con questo mondo, ha riconosciuto che siamo una locomotiva del Paese, ha visto nel manifatturiero la "sostanza" del nostro sistema economico e ha convinto sul messaggio che non c'è più tempo da perdere, sulla velocità».

Ma è piaciuto anche quel pragmatismo veloce, quegli 80 euro in busta paga. «Il nostro sistema economico gira anche sulla domanda interna e sui consumi, è evidente che sia piaciuto», racconta Daniele Marini, direttore scientifico di Community media research che aveva visto l'orientamento favorevole delle imprese già qualche settimana prima del voto. Perché la novità non è solo l'apertura di credito al Governo ma all'Europa. «Le imprese qui in Veneto e in generale in tutto il Nord sono pro-Europa e pro-euro. Non funziona la propoganda di uscita dalla moneta unica – dice Marini – anche se c'è una forte richiesta a rinegoziare i vincoli europei e di cambiare il ruolo della Bce».
Il pacco-dono a Renzi non è arrivato solo da Forza Italia: la maggior parte dei consensi "acquisiti" viene da Scelta civica che a sua volta li aveva presi al centro-destra. L'ex partito di Monti è stato un «traghetto dei moderati da destra a sinistra», spiega Piergiorgio Corbetta dell'Istituto Cattaneo. Ma senza i fatti, con un altro traghetto, quei voti a Renzi potrebbero andare via.

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