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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2014 alle ore 10:55.
L'ultima modifica è del 02 giugno 2014 alle ore 10:57.

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Magari l'Olimpia Milano riuscirà a vincere la Serie contro Sassari, e magari anche a vincere lo scudetto. Ma la partita di ieri (vinta dai sassaresi 90-83) ha detto chiaramente che per farlo dovrà ritornare a giocare da squadra. Le individualità, gli uno contro uno insistiti, i protagonisti assoluti servono come il due di picche con briscola a coppe se non sono inseriti in un'orchestra disponibile a suonare lo stesso spartito.

Si potrebbe raccontare dell'uragano di triple scatenato da Drake Diener, Travis Diener e Marques Green, che a inizio del terzo quarto hanno ribaltato la situazione passando da meno dieci a più cinque. Ma sei triple non bastano per un massacro, se dall'altra parte gli avversari segnano in modo decente. L'Olimpia non l'ha fatto, ha tirato giù la saracinesca ed è andata in vacanza, mentre gli avversari imperversavano da ogni parte del campo.

Si potrebbe raccontare di un grande Gentile, che alla fine ha messo a segno 21 punti con 6/7 da due e 2/7 da tre. Ma è lo stesso Gentile che ha forzato parecchie situazioni di gioco quando invece occorreva ragionare, coinvolgere i compagni, sfruttare la forza di un quintetto che, nei singoli, è superiore a quello di Sassari da qualsiasi parte lo si giri. È lo stesso Gentile che, come in Gara 1, ha sbagliato tiri liberi a raffica quando invece bisognava segnarli. Sia chiaro, Milano non ha perso per colpa del suo capitano, ma questa strana abitudine di valutare i giocatori solo sulla base dei punti segnati o delle statistiche la trovo una cretinata pazzesca: i giocatori si valutano anche per le scelte che fanno, per come il loro gioco mette i compagni nelle condizioni di esprimersi al meglio. In questo è stato un maestro Dino Meneghin: alla fine della partita magari aveva segnato pochi punti, ma aveva fatto vincere la squadra.

Milano ha rinunciato all'unico «uno contro uno» che davvero avesse un senso, quello di Hackett (quasi due metri di giocatore) contro Marques Green (1,65). Invece ha continuato a insistere su Hackett come portatore di palla, in difficoltà contro la rapidità di Green, senza mai costringere il piccolo di Sassari a difendere su Hackett vicino a canestro. Nemmeno una volta. Anche queste sono cose che non funzionano quando non funziona la squadra.

Milano ha avuto un atteggiamento sbagliato: troppe volte i giocatori in mezzo al campo si sono incavolati l'uno con l'altro, dando la colpa ai compagni per le azioni subite. Troppe volte, centrata una tripla, hanno esultato come se avessero segnato un gol mentre gli avversari partivano in contropiede portando a casa due punti a difesa scoperta.

Milano è stata una squadra solo nel primo tempo: e infatti era avanti in modo stabile di una decina di punti, con un massimo di 13. Difesa aggressiva e attenta, giocatori pronti a rientrare, buona circolazione di palla, buone scelte di tiro con soluzioni variate. Intanto le bocche da fuoco di Sassari sbagliavano a ripetizione, producendo nei primi venti minuti un modestissimo 10 su 30 al tiro. Anche qui è ingiusto parlare di sfortuna al tiro: nel basket, e nello sport in generale, la sfortuna esiste nell'episodio singolo. Non in mezza partita. Semplicemente i due Diener e compagni erano costretti a tirare male, in modo affrettato, fuori equilibrio: e sbagliare era una logica conseguenza dell'ottima difesa di Milano.

Quando nella ripresa l'Olimpia ha smesso di difendere e si è buttata a capofitto nello show dell'uno contro uno ha pagato dazio contro una squadra: ovvero cinque uomini che giocavano insieme, difendevano alla morte, hanno infilato una decina di contropiede a zero (forse uno), hanno alternato le soluzioni dalla distanza a quelle in penetrazione e sotto canestro. E nel basket, alla fine, vince sempre la squadra.

Si potrebbe anche dire che Sassari è uno squadrone inarrestabile, ma poi scopri che nella stagione regolare ha perso 12 partite su 30, che non è proprio un record da Miami Heats. E soprattutto che fuori casa ne ha perse 9 su 15, altro dato imbarazzante per una Milano che, a parte ieri, è riuscita a lasciarci le penne contro Sassari anche nelle final Eight di Coppa Italia. Sempre sul campo amico del Forum di Assago. Mi sbaglierò, ma ho l'impressione che i milanesi provino l'irresistibile tentazione di dimostrare che sono più forti dei sassaresi anche da tre punti, accettando così una gara di tiro dalla quale escono perdenti. Il basket non è solo tiro da tre, per fortuna, e insistere sull'unica strada dove sei perdente non è dimostrazione di genialità.

Coach Banchi avrà molto da fare nelle prossime ore, già domani c'è Gara 3 in Sardegna. Se l'Olimpia gioca di squadra è nettamente superiore a Sassari, ma saprà farlo? I suoi solisti saranno disposti a rinunciare all'«io» per dare spazio al «noi»? Intanto dall'altra parte del tabellone la disastrata Siena è sull'1-0 con Roma. Gli anni passano, i giocatori non sono più quelli dell'era d'oro di Minucci (e stiamo scoprendo come mai...) ma il senso della squadra è rimasto lo stesso. Si gioca, si perde e si vince in cinque.

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