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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2014 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 05 giugno 2014 alle ore 07:35.

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Un'inchiesta che sconvolge Venezia. L'inchiesta sugli appalti del Mose, il sistema di dighe mobili per la salvaguardia di Venezia, approda alle alte vette della politica e del management che fa capo alle società che partecipano alla realizzazione dell'operan una delle grandi opere indicate dalla Legge Obiettivo. Venticinque persone sono in carcere, 10 ai domiciliari, due sono colpite dagli stessi provvedimenti ma si tratta di parlamentari e quindi ci vuole l'autorizzazione specifica.

Questi ultimi sono l'ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, di Forza Italia e l'ex europarlamentare non rieletta dello stesso partito, Lia Sartori. Ai domiciliari, tra gli altri, anche il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, Pd, coinvolto con l'accusa di finanzamento illecito di partito. Un centinaio in tutto le persone indagate.

Un terremoto che covava dal 2009 quando iniziarono le indagini della Guardia di Finanza con accertamenti fiscali nell'ambito delle società collegate al Consorzio Venezia Nuova. Lo scorso anno il primo arresto eccellente, quello di Piergiorgio Baita, amministratore delegato della Mantovani Costruzioni, colosso del settore che partecipava ai lavori del Mose e che oggi é presente anche tra le aziende per l'Expo di Milano. Pochi mesi dopo, finì in manette l'ingegner Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, considerato il «padre» del Mose.

All'alba di oggi, invece, 300 finanzieri hanno eseguito i 35 arresti e operato sequestri di beni per 40 milioni di euro con un blitz che ha gelato la città lagunare. Il procuratore capo Luigi Delpino ha spiegato che «é venuto alla luce un sistema ben radicato di illegalità ad un certo livello». Un sistema «per molti versi simile se non uguale a quello del 1992, per certi versi più sofisticato: perfino le persone coinvolte sono in parte le stesse», ha sottolineato il procuratore aggiunto Carlo Nordio. Una Tangentopoli che, dunque, non se ne è mai andata: fatture false per operazioni inesistenti, in sostanza, venivano usate non tanto per evadere il fisco, ma per creare provviste per commettere altri reati.

I fondi neri, creati all'estro – San Marino e Svizzera perlopiù – «sono stati utilizzati per campagne elettorali e, in parte, anche per uso personale da parte di alcuni esponenti politici. Hanno ricevuto elargizioni illegali persone di entrambi gli schieramenti», ha aggiunto Nordio.

Dazioni proseguite anche in tempi recenti, e non finalizzate ad atti specifici, ma corrisposte per una «generica disponibilità a collaborare». Finora sono state contestate fatture false per 15 milioni, «costi ricaduti due volte sulla collettività, in termine di tributi non pagati e di corruzione», hanno detto in Procura, con una precisazione finale: «Non c'è alcuna intenzione di interferire con la realizzazione di un'opera come il Mose, che onora l'Italia perché rappresenta ingegneria all'avanguardia».

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