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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2014 alle ore 11:00.
L'ultima modifica è del 04 giugno 2014 alle ore 20:53.

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Il bonus da 80 euro è solo un surrogato: serve la riforma
Il documento sottolinea l'esigenza di arrivare a una riforma dell'Irpef. Andando oltre «la riluttanza del decisore politico ad assumere decisioni di natura tributaria in una prospettiva che non si configuri come uno sgravio generalizzato». Ed evitando al tempo stesso che le modifiche siano affidate «a strumenti "surrogati" ed improvvisati: dai "prelievi di solidarietà" (per livello o per tipologia di reddito), ai "bonus", ai tagli retributivi tout court». Tutte scelte che - a detta dei magistrati contabili - «allontanano e rendono più difficile l'attuazione di un disegno razionale, equo e strutturale di riduzione e di redistribuzione dell'onere tributario». Che va attuato rimettendo mano al sistema delle tax expenditures.

Rimane la piaga dell'evasione
Parlare di fisco in Italia significa per forza di cose parlare anche di evasione ed elusione. Basta un numero dei tanti contenuti nel rapporto sul coordinamento della finanza pubblica a dare l'idea del fenomeno:l'economia sommersa vale il 21,1% del Pil. Solo per Irap e Iva l'evasione stimata è pari a 50 miliardi. Mentre per l'Irpef «le stime più recenti indicano un tasso medio di evasione pari al 13,5% dei redditi». Dati che tuttavia sono riferiti al 2004.

L'andamento dei conti pubblici
Nel paper della Corte dei conti ampio spazio viene dato al tema della tenuta dei conti pubblici. Sin dalle prime righe, dedicate al «percorso stringente» che ci attende da qui in avanti. Stando al Def 2014 l'indebitamento nominale, in quota di prodotto, è previsto in continua riduzione, collocandosi a fine periodo allo 0,3 per cento del Pil, un livello definito «equivalente a quello del 1960 e il più basso dal 1946 a oggi». Al tempo stesso la spesa corrente si riduce nello stesso periodo di 2,7 punti in termini di prodotto rispetto al 2013. Nonostante gli andamenti tendenziali siano già collocati su un sentiero di rigore, i magistrati contabili sottolineano come per il 2015 e 2016 il rispetto degli obiettivi in termini strutturali richiede una correzione pari, rispettivamente, allo 0,3 e 0,6 del prodotto. Una correzione che porterebbe, sempre a fine periodo, il saldo di bilancio in avanzo. A un livello cioè che non realizziamo dal lontano 1925.

Sulla spesa prevale il chiaroscuro
Nel 2013 il rapporto deficit/Pil è rimasto stabile al 3 per cento. A questo risultato si è giunti soprattutto grazie a un forte contenimento del disavanzo di conto capitale (-14 miliardi rispetto alle iniziali stime programmatiche). Purtroppo evoluzioni di segno opposto hanno interessato il saldo di parte corrente. Dopo un biennio di riduzione, le uscite primarie correnti sono tornate a crescere. L'incremento (+1,3 per cento) è stato superiore alla diminuzione (-0,5 per cento). È tuttavia proseguita la flessione della spesa per redditi (-0,7 per cento) e per consumi intermedi (-1,4 per cento). Anche gli interessi sul debito sono diminuiti, grazie al continuo ridimensionamento dello spread. Nel complesso, l'aumento della spesa corrente – imputabile a prestazioni sociali e contributi alla produzione - è stato inferiore alla riduzione della spesa in conto capitale; le uscite totali sono, pertanto, diminuite dello 0,2 per cento, rimanendo per oltre 12 miliardi al di sotto delle indicazioni programmatiche del Def 2013. Oltre alla preoccupazione per la flessione della spesa in conto capitale, che pregiudica - scrive la Corte - «il mantenimento e il rinnovamento del capitale infrastrutturale del Paese, c'è un altro dato da tenere a mente. E cioè che la necessità di uno sforzo collettivo aggiuntivo, con cui raggiungere il pareggio del saldo strutturale, permarrebbe anche in presenza di shock positivi sulla crescita. Solo un aumento della produttività totale dei fattori, elevando in misura consistente il livello del prodotto potenziale, consentirebbe di avvicinare il pareggio limitando l'intensità della correzione di finanza pubblica. Da qui l'invito ad «adottare politiche capaci di sospingere un generalizzato aumento del grado di efficienza del sistema produttivo». Come negli anni scorsi ha fatto la Germania.

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