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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2014 alle ore 13:45.
L'ultima modifica è del 04 giugno 2014 alle ore 17:31.

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La chitarra gigante dell'Hard Rock Cafe espande le sue luci sull'insegna di Zara, dall'altra parte le linee sinuose e avvolgenti del vetro azzurrato invitano a entrare. Dentro è un abbaglio: balconate che si incrociano in uno spazio enorme, la gente che le percorre sostando tra i negozi di lusso, scale mobili incessanti con la musica di sottofondo, lampade di design ovunque, ragazzi seduti sui divanetti che si godono il tramonto oltre i grattacieli, uomini d'affari intenti a lavorare davanti a un pc e a un cappuccino. È un giovedì pomeriggio, potremmo essere a Chicago o a Tokyo. Siamo a Varsavia, in una Polonia irriconoscibile a 25 anni da quel 4 giugno del 1989, quando i polacchi decisero il loro destino per la prima volta con un voto semilibero, dopo una stagione di battaglie che portò alla caduta del regime comunista.

L'area commerciale Zl/ote Tarasy, nata attorno alla stazione centrale della capitale, è una delle novità degli ultimi anni, in cui Varsavia è cresciuta e si è sviluppata a ritmi incalzanti, complici gli Europei di calcio 2012. «Qui il costo della vita è più alto che nel resto del Paese», spiega Leszek Balcerowicz, ministro delle Finanze del primo Governo targato Solidarnos´c´ e dal '97 al 2000, l'uomo che ha traghettato la Polonia verso l'economia di mercato. «I polacchi si lamentano sempre, ma oggi il tenore di vita è pari al doppio di quello di 25 anni fa e questo è un risultato storico. Si guadagnano mediamente 4mila zl/oty al mese (circa mille euro, ndr), ma il potere d'acquisto è più elevato, tante cose costano meno... a eccezione del caffè che non è neanche così buono», conclude con una risata. Nel suo ufficio al secondo piano della scuola di Economia, dove si forma la futura classe dirigente, Balcerowicz, 67 anni, rievoca gli anni «in cui siamo usciti dalla catastrofe, abbiamo fatto le riforme – privatizzazioni, liberalizzazioni –, e portato gradualmente l'inflazione al 2%, in linea con l'Occidente. Oggi il reddito pro capite è pari al 60% di quello di un cittadino dell'Ovest. Come recuperare quel 40 per cento? Si può sperare che i propri vicini crescano più lentamente, ma è sempre meglio augurarsi dei partner dinamici». Sulla parete campeggia una sua foto, gli occhi chiari, vivaci e intelligenti, e una moneta tra l'indice e il pollice, ma non è l'euro. «No, è un solido zl/oty. Non conviene aderire all'euro senza essere preparati sul fronte dell'elasticità del mercato del lavoro e della disciplina dei conti dello Stato. Spagna, Portogallo, Italia e Grecia hanno avuto grossi problemi perché il loro job market era chiuso e il risultato è stato l'aumento della disoccupazione».

La società è mutata profondamente anche sul piano del rapporto città-campagna, e qui Balcerowicz non risparmia un filo di ironia all'indirizzo dei fotoreporter occidentali che «negli anni Ottanta cercavano per i loro servizi i contadini sui carri trainati dai cavalli. Un filone esotico. Oggi ci sono ancora migrazioni verso la città, è normale, però sta cambiando anche l'iconografia della campagna: i contadini hanno trattori moderni, grazie ai contributi diretti dell'Unione europea».

Nel porto fluviale di Danzica spiccano i magazzini per il grano e i cereali, l'agricoltura rimane una fonte di ricchezza importante del Paese granaio d'Europa, che cresce ancora a ritmi del 3,5% dopo il boom degli anni Novanta e la flessione negli anni della crisi. Ma Danzica, rispetto a un anniversario cruciale per la democrazia polacca, è il luogo della memoria per eccellenza. Non solo perché Lech Wal/es,a, artefice della rivoluzione pacifica che portò alla sconfitta del regime, premio Nobel per la pace nel 1983, vive qui (accanto, l'intervista).

Ma perché dove è accaduto tutto, ai cantieri navali – teatro degli scioperi, delle proteste e dei morti causati dalla repressione del regime che poi dovette arrendersi alla Storia – sarà inaugurato il 30 agosto, alla presenza del capo dello Stato Bronisl/aw Komorowski, il centro europeo di Solidarnos´c´: un grosso edificio che ha la forma di una nave inclinata e il colore rosso ruggine di uno scafo in costruzione, proprio come accadeva un tempo al di là di quel famoso cancello numero 2. Il centro ospiterà una mostra permanente su Solidarnos´c´, con 41mila fotografie e materiale cinematografico, manifesti, opuscoli, giornali clandestini di tutti i Paesi che hanno appoggiato la battaglia. Oggetti, maglie, un carroponte, tavolini dei lavoratori, dichiarazioni scritte dei giornalisti polacchi a partire dal 1980. Un grande progetto cui lavorano 60 persone, costato 222 milioni di zl/oty (113 dei quali provenienti da fondi europei).

Dal Nord di Danzica al Sud di Cracovia, c'è una continuità nel solco della memoria. La Firenze polacca ci tiene a dire la sua nel ricordare le conquiste che portarono al 4 giugno 1989, pur non avendo avuto il ruolo centrale della città di Schopenhauer. A 10 chilometri dal centro di Cracovia c'è il quartiere di Nowa Huta, una vera e propria città costruita nel 1949 dal regime attorno all'acciaieria (questo vuol dire "Huta") che a metà degli anni Settanta dava lavoro a 40mila persone e produceva 7 milioni di tonnellate di acciaio all'anno. Oggi gli operai sono 7mila, ma 3.500 sono a rischio licenziamento: la disoccupazione – il tasso in Polonia è del 13% – pesa come un macigno. «Facevo l'ingegnere lì, le condizioni di vita erano durissime, non c'era nulla che funzionasse in modo normale», dice con disarmante semplicità Edward Nowak, 64 anni. Occhi marroni, l'aria mite sotto i baffi grigi, non si può immaginare che sia stato in carcere due volte e picchiato perché tra i leader degli scioperi a Nowa Huta negli anni Ottanta. «Vede questi jeans? Dovevo lavorare tre settimane per poterli comprare, in negozi a parte, i Pewex, dove si acquistava in dollari, e i dollari si compravano al mercato nero, erano illegali: un paradosso. Per avere una Fiat 126 mi ci volevano sei anni di lavoro. Un operaio guadagnava 20 dollari. Pane e latte, in termini di potere d'acquisto, costavano più o meno come oggi ma si guadagnava 3-4 volte meno. Sentivo la povertà generale, il progresso c'era ma visibilmente inferiore a quello dell'Europa occidentale. Si poteva andare solo in Cecoslovacchia, Bulgaria, Ungheria e comunque viaggiare costituiva un lusso. C'era la tessera per poter comprare la carne, lo zucchero, le scarpe, le calze, la benzina. Tutto era razionato. È impossibile rendere il livello di umiliazione che ci fu "regalato"».

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