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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2014 alle ore 07:14.
L'ultima modifica è del 05 giugno 2014 alle ore 15:41.

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Oggi è il gran giorno della Banca centrale europea. Operatori, analisti finanziari, grandi e piccoli investitori scopriranno quali armi il governatore Mario Draghi intenderà sfoderare dal cilindro. Nell'estate di due anni fa svelò il bazooka dello scudo anti-spread. Per quanto ad oggi mai ancora utilizzato si è rivelato la più potente misura mai annunciata dall'istituto di Francoforte. Consiste nella capacità di intervenire illimitatamente sul mercato secondario con l'acquisto di titoli di Stato di Paesi dell'Eurozona per scadenze fino a 3 anni (previa la firma di un memorandum dello stesso Paese sull'impegno ad adottare rigide riforme ispirate alla dottrina neo-liberale).

Prima dello scudo anti-spread Draghi aveva provato a stupire i mercati annunciando a dicembre 2011 e nel febbraio seguente due prestiti alle banche a 3 anni al tasso agevolato dell'1%. I tecnici chiamano questi prestiti Ltro (Long term refinancing operation). Ma la sostanza non cambia: si tratta di aiuti al sistema finanziario nella speranza di scacciare la crisi.

Se lo scudo anti-spread ha avuto un effetto dirompente nell'allontanare la speculazione, i prestiti Ltro non hanno raggiunto l'effetto sperato: quello di far confluire i soldi dalle banche all'economia reale. Ma hanno fatto scendere di molto i rendimenti dei titoli dei Paesi europei a rischio (e di conseguenza lo spread, ovvero la differenza con il rendimento del Bund tedesco) perché le banche hanno utilizzato questi soldi per acquistare titoli di Stato, marginando sulla differenza (motivo per cui la manovra Ltro è stata anche oggetto di critiche). I soldi quindi non sono andati a famiglie e imprese.

Lo dimostra il fatto che l'economia reale dell'Eurozona (in particolare dei Paesi del Sud) sta ancora pagando lo scotto della stretta creditizia, del contestuale peggioramento dei livelli di affidabilità di imprese e famiglie, conseguenza del calo della produzione industriale e dell'impoverimento di redditi e patrimonio anche a causa del depauperamento di salari e valori immobiliari.

Gli squilibri interni nella bilancia dei pagamenti tra i Paesi dell'Eurozona sono tutt'altro che risolti. E famiglie e imprese del Sud Europa faticano ancora oggi ad avere pieno accesso al credito. In un contesto in cui lo spettro della deflazione è ancora presente (a maggio l'inflazione nell'Eurozona è scesa dallo 0,7% allo 0,5%) e la Banca centrale ha praticamente esaurito le manovre sui tassi (oggi la Bce ha portato il tasso sui rifinanziamenti - quello che le banche pagano alla Bce per prestiti a brevissimo termine - allo 0,15%, e addirittura portare sotto zero (-0,1%) quello che ricevono le banche dalla Bce quando parcheggiano a Francoforte la liquidità in attesa di destinazione migliore e più profittevole).

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