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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2014 alle ore 06:55.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:51.

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Ancora una volta è una grande opera che gode di un regime di deroghe speciali ed eccezionali a finire sotto inchiesta. Un'opera assegnata senza gara per legge e sottratta alle regole più elementari di trasparenza nell'affidamento degli appalti di lavori. Stavolta non si tratta neanche di deroghe che nascono da motivi di urgenza, come nel caso Expo, ma di un sistema di deroghe definito a tavolino addirittura in un'altra epoca, nel 1984. A voler fare accostamenti storici, somiglia più al sistema organico degli appalti della Protezione civile.
Bisogna dire ancora una volta che la misura è colma ed è ora di voltare pagina. Serve una riforma radicale dell'intero sistema dei lavori pubblici che cancelli per sempre affidamenti senza gara, semplificando e rendendo trasparente il sistema per tutti, senza più scorciatoie solo per qualcuno.
Non si tratta di demonizzare la deroga in quanto tale: nessuno può interpretare come «licenza di rubare» la deroga che andrebbe sempre accompagnata dal rafforzamento, altrettanto eccezionale, dei controlli, come prevede l'imminente «decreto Cantone» per il caso dell'Expo. Si può usare in casi davveri eccezionali, con poteri derogatori limitati e mirati.

Se non si deve demonizzare la singola norma, bisogna però aggiungere che è un sistema marcio quello che pensa di funzionare sulla base di una deroga a tutto campo che crea deresponsabilizzazione nell'amministrazione competente e nelle imprese coinvolte nell'appalto (o nella concessione). E soprattutto bisogna vedere - e rifiutare in modo netto - la deroga per quello che è: una scorciatoia rispetto a un sistema che non funziona perché è bloccato. Ecco la riforma da fare: vietare (forse anche in Costituzione) qualunque deroga sistemica nell'affidamento di opere, in coerenza con il quadro europeo, e riformare drasticamente la disciplina dei lavori pubblici.
Si deve ridare trasparenza e concorrenza a un sistema degli appalti che non funziona più, con poche regole chiare per le procedure di gara, possibilmente gli stessi sistemi utilizzati in Europa o nelle regole della World Bank.
Bisogna cancellare riserve che consentono a concessionari di aggirare i sistemi di gara per l'affidamento dei lavori, se a loro volta non hanno ottenuto la concessione con una regolare gara (la commissione Ue ha appena messo sotto osservazione anche l'autostrada tirrenica). Si deve tornare a un progetto vero, secondo i parametri internazionali. Non è più tollerabile un sistema che nega il valore del progetto erigendo a sistema la variante in corso d'opera per far lievitare i costi (magari dopo una aggiudicazione con un ribasso anomalo).

Bisogna introdurre la consultazione sui progetti con i territori locali con il «dibattito pubblico» che deve però avere tempi certi. Si discute, si accettano rilievi, ma alla fine del tempo si decide e non si cambia parere al cambiare di un sindaco. Bisogna concentrare la fase di contenzioso in un arco di tempo determinato, come propone anche il presidente dell'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, Sergio Santoro.
Regole semplici, le stesse utilizzate in tutto il mondo. Valide per tutti senza eccezioni. Il recepimento delle nuove direttive europee sono l'occasione, imperdibile, per disboscare il nostro codice degli appalti. Spetta al governo mandare subito un segnale chiaro in questa direzione. Si sta perdendo fin troppo tempo: basta palleggi, una riforma venga allo scoperto. Il sistema va rimesso in moto, le infrastrutture sono necessarie.

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