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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2014 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:54.

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Fra Rai e governo non corre buon sangue. I 150 milioni sottratti al canone hanno creato un muro d'incomprensione. Eppure "la sfida" dei prossimi mesi è ben più strategica e trascende questo episodio: rinnovare la Convenzione del servizio pubblico. È qui che si gioca anche il futuro del Sistema Italia delle comunicazioni.
Che cosa ha in mente il governo? Alcuni passi sono già stati fatti: la nuova Convenzione Stato - Rai non verrà messa a gara. Di più: il governo ha deciso di impegnarsi in una grande consultazione aperta, giusto per definire i confini e la missione della Rai nell'epoca della rivoluzione digitale e di internet. E - parola del nuovo sottosegretario alle Comunicazioni - la Convenzione verrà rinnovata entro il 2014, ben prima della scadenza di legge (maggio 2016). Alla fine di quest'anno sarà pronta anche la legge di riforma del sistema. Già, ma su quali idee forti verranno impostate le linee guida propedeutiche alla consultazione? Chiarito che «rinnovare» non può voler dire giocare al ribasso, l'obiettivo si annuncia ambizioso: trasformare la Rai da broadcaster a media company, rifondare la Rai facendone un protagonista dell'epoca digitale. Per cercare di capire a che tipo di Rai pensa il governo cominciamo a rileggere due documenti. Il primo è quello che Renzi e i suoi amici hanno detto negli interventi alla Leopolda. Il secondo sta nelle carte del "Forum per la riforma radiotelevisiva" del Pd. Al centro c'è il cambiamento della Gasparri, là dove affida ai partiti il consiglio di amministrazione. Renzi è stato chiarissimo a Trento: fuori i partiti dalla Rai. La governance della Tv pubblica deve cambiare. Come? Per esempio - si è scritto nelle carte della Leopolda - affidando la nomina di un amministratore delegato (e di un comitato esecutivo composto da manager) a un "Comitato Strategico" che a sua volta è scelto dal Presidente della Repubblica. Anche nella documentazione del Pd si parla di un amministratore delegato con ampi poteri proprio al fine di evitare che i partiti condizionino tutte le scelte editoriali e no. Se poi non si vuole coinvolgere il presidente della Repubblica, si può tornare a pensare a una Fondazione a cui affidare le azioni oggi del Tesoro. Oppure si può pensare a un sistema duale: un consiglio di sorveglianza con una larga rappresentanza di pezzi di società che nomina un comitato di tre amministratori di cui uno è l'amministratore delegato vero e proprio. È dalla consultazione pubblica che potranno emergere altre ipotesi.

Nell'immaginare oggi la riforma del servizio pubblico, si dovrà tener conto anche di altre priorità. La separazione fra Rai "operatore di rete" e Rai "fornitore di contenuti", per esempio, è o no strategica? Potrebbe portare alla nascita di un grande operatore di rete prevalentemente pubblico, a cui affidare il trasporto dei segnali audio e video. Lavorerebbe anche per altri soggetti imprenditoriali interessati all'offerta audiovisiva. Per esempio le telco e le tv locali. Insomma l'idea di andare in Borsa con Raiway - che oggi sembra una soluzione per fare cassa e compensare la perdita dei 150 milioni di euro sottratti quest'anno al canone - potrebbe diventare una scelta strutturale, nell'interesse non solo della Rai ma del sistema Paese. È quello che hanno fatto in Europa tanti altri servizi pubblici.

E poi? Come intervenire nella riorganizzazione interna del servizio pubblico? Il Forum del Pd ha proposto una prima "Rai modello Bbc" senza pubblicità che conta quasi esclusivamente sulla risorsa del canone. Potrebbe gestire una rete generalista più una serie di reti di nicchia chiaramente da servizio pubblico, in grado di garantire un'offerta editoriale di qualità. A fianco di questa "Rai servizio pubblico" una "Rai commerciale" - modello Channel 4 - che si regge su affollamenti pubblicitari pari alle altre tv private nazionali. A questo ramo di azienda verrebbe affidata la gestione anche di altre reti di nicchia come oggi il sistema digitale consente. Con una missione: dare spazio alle produzioni e alla creatività nazionale. Non dimentichiamo che farsi carico del rilancio del mercato dell'audiovisivo italiano - oggi cenerentola in Europa - è un compito che va nella giusta direzione della ripresa generale dell'economia. Uno dei punti più innovativi della riforma ipotizzata era che "la Rai commerciale" non potesse cannibalizzare "la Rai servizio pubblico". Se gli ascolti del servizio pubblico - per esempio - fossero penalizzati dalle reti pubbliche commerciali della Rai ecco che scatterebbe un meccanismo riequilibratore: l'anno successivo vengono ridotti gli affollamenti, in modo tale da scoraggiare la Rai commerciale dal sottrarre programmi di successo alla prima Rai. Nei testi della Leopolda si legge: cambiare la Rai per creare concorrenza sul mercato tv e rilanciare il Servizio Pubblico. Già! Ma come? Oggi la Rai ha 15 canali, dei quali solo 8 hanno una valenza "pubblica". Questi vanno finanziati esclusivamente attraverso il canone. «Gli altri devono essere da subito finanziati esclusivamente con la pubblicità, con affollamenti pari a quelli delle reti private». In quella sede fu anche detto - diversamente da quanto sosteneva il Pd - che questi canali successivamente potevano essere privatizzati. Ora conoscendo Renzi un po' meglio e un po' di più di quando conduceva la Leopolda, non c'è dubbio che vorrà cambiare il canone, una delle tasse oggi più odiate dagli italiani (ha un tasso di evasione del 30%). A Firenze si era sentito dire: «il canone va formulato come imposta sul possesso del televisore (esattamente quello che è oggi), rivalutato su standard europei e riscosso dall'Agenzia delle Entrate». E poi: «La Rai deve poter contare su risorse certe, in base a un nuovo Contratto di Servizio con lo Stato». Per il Pd la strada era quella della fiscalità generale che per altro consente di ridurre il canone a chi ha poco e far pagare di più a chi ha di più. Anche su questo punto la consultazione potrebbe orientare le scelte del governo.

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