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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2014 alle ore 10:37.
L'ultima modifica è del 07 giugno 2014 alle ore 12:11.

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Il governo italiano è irritato per la scarso interesse dei partner europei nei confronti della crisi libica e per le pressioni di Washington affinché sia proprio l’Italia a far fronte all’emergenza sicurezza su quella che un tempo era la nostra quarta sponda.

“Ci si aspetta che l'Italia possa avere un ruolo per la risoluzione della crisi libica” ha detto in un’intervista radiofonica il ministro della Difesa, Roberta Pinotti. “È ovvio che io penso che ci sia un'urgenza. Nella ministeriale Nato si è parlato dell'Ucraina e non della Libia e questo mi ha stupito molto. Noi siamo pronti a intervenire ma non possiamo partire da soli". Per intervenire militarmente in Libia non mancano però solo gli alleati ma anche un piano politico e militare che stabilisca quali obiettivi si perseguono e chi sosteniamo nel caos politico e istituzionale libico.

Se il ministero della Difesa guarda all’ipotesi di un intervento la Farnesina sembra invece sostenere una linea che attenda i prossimi sviluppi mentre Matteo Renzi vorrebbe i caschi blu in Libia per stabilizzare il Paese. Un’operazione del genere però non è al momento neppure un’ipotesi al Palazzo di Vetro o in altri consessi internazionali.

“Il punto centrale è avere oggi una forte presenza in Libia. Noi siamo tra i primissimi contributori dell'Onu e di tutte le organizzazioni internazionali alle quali contribuiamo in misura decisamente superiore di tanti altri. Per quale motivo i caschi blu in Libia non ci possono andare?" ha detto il Presidente del consiglio in conferenza stampa a Bruxelles a margine del G7. "Noi i soldi li mettiamo, vorrei che fossero spesi anche in Libia", ha aggiunto.

L’Italia è tra i primi finanziatori delle operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite ma, per una negligenza consolidatasi attraverso l’inerzia di molti governi, vanta al tempo stesso un record negativo di presenza tra le posizioni di responsabilità militare e politica quali comandanti di missioni e inviati speciali delle Nazioni Unite. Roma detiene infatti meno dell’1 per cento delle 111 posizioni chiave nell’amministrazione Onu delle operazioni di pace, in pratica il solo comando dei caschi blu in Libano meridionale assegnato al generale Paolo Serra.

Una posizione che secondo indiscrezioni l’Italia dovrebbe mantenere anche nel triennio 2015-2018.  Ufficialmente il Dipartimento del peacekeeping dell’Onu deve ancora decidere chi guiderà l’Unifil alla scadenza del mandato di Serra tra una rosa di tre nomi: l’italiano Luciano Portolano, un generale finlandese e uno nepalese, ma l’esperienza del candidato italiano e il peso del contingente italiano in Libano sembrerebbero favorire la conferma della leadership italiana. Portolano, già addetto militare a Londra, è un veterano delle missioni in Iraq e Afghanistan dove è stato valutato dal comando alleato di Kabul tra i migliori comandanti del contingente italiano a Herat.

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