Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:54.

My24

Dallo scorcio forse più bello dei Giardini vaticani, uno spicchio di prato incastrato tra i Musei e la Casina Pio IV e con il Cupolone sullo sfondo, il processo di pace in Medio Oriente prova a ripartire. Prendendo una strada completamente nuova. Tre preghiere. Tre uomini con storie e destini completamente diversi, ma con un'esigenza condivisa in questo momento storico. Un Papa eletto da poco che raccoglie un consenso globale, il presidente palestinese Mahmoud Abbas costretto a una coalizione con gli estremisti di Hamas e il novantenne presidente israeliano Shimon Peres ormai agli sgoccioli del suo mandato. Il "summit" religioso di questa sera è il prodotto della leadership planetaria di Francesco, l'atto probabilmente più forte da quando è salito al soglio di Pietro, giocato su un crinale molto stretto.

Bergoglio, che ieri ha chiesto di pregare «affinché io possa fare il gioco della Chiesa fino al giorno in cui il Signore mi chiamerà a sé» (a proposito del tema "dimissioni"), aveva cercato l'incontro in Terra Santa nel suo viaggio, ma troppi erano i problemi politici da risolvere, primo tra tutti il luogo, visto che nei posti dove visse Gesù ancora oggi ogni sasso è conteso. E allora l'incontro di Roma, solo religioso. I due presidenti non hanno la forza politica per prendere impegni, e neppure il Papa vuole essere scambiato per un mediatore, figura (anche solo percepita) che comporta gravi rischi. Per lui c'è solo la preghiera. Ma davanti alle tv di tutto il mondo, che sono affluite ai bordi delle mura vaticane quasi come ai tempi del Conclave. «Il senso di questo incontro è di essere un momento di invocazione a Dio per il dono della pace. È una pausa rispetto alla politica.

Il Papa non vuole entrare nelle questioni del conflitto israeliano-palestinese: il suo desiderio è alzare lo sguardo» ha detto il padre Custode di Terra Santa, Pierbattista Pizzaballa, che è stato l'organizzatore dell'incontro su delega diretta del Papa. «L'idea è riportare alla politica quel respiro che spesso manca, ma anche manifestare all'opinione pubblica che la pace non si fa solo nei luoghi della politica. Riaprire questa strada per la quale la pace tra Israele e Palestina non va lasciata solo ai politici, ma deve avere un respiro più ampio». Poche parole per chiarire qual è il "manifesto" bergogliano del summit, che ricalca la pastorale del papa argentino sin dalla prima sera del suo pontificato. Ridare visibilità ai gesti, spessore alle sensazioni, visione ai progetti. Così come la riforma della Chiesa di Francesco parte dai suoi atti quotidiani tra la gente, lo stesso deve avvenire per l'alta politica, che non può più essere giocata solo negli incontri bilaterali e nelle mediazioni del segretario di Stato Usa di turno.

La percezione che l'incontro di oggi lascerà un segno è sentita molto in Israele, e lo stesso in terra palestinese, con ansia e anche con timore. Proprio alla vigilia della partenza di Peres il suo rivale Benjamin Netanyahu ha scongelato dopo mesi di blocco l'autorizzazione a 3.300 nuove costruzioni nei settlements. Un segnale? Forse. Ma dentro le mura si evita in ogni modo di dare letture politiche, così come fu fatto durante il viaggio sia quando il Papa di fermò in preghiera davanti al muro di sicurezza a Betlemme sia quando - sempre fuori programma - rese omaggio alla stele in ricordo delle vittime israeliane del terrorismo, sul Monte Herlz. Osserva con sano realismo Pizzaballa, Custode da diversi anni e profondo conoscitore di Israele (parla correntemente l'ebraico): «Nessuno si fa illusioni, da domani non scoppierà improvvisamente la pace, ma si tratta di un'iniziativa molto importante per riaprire questa strada di cui sentono tutti il bisogno per costruire la pace».

Nessun politico sarà presente, ma al contrario ci saranno rappresentanti dell'ebraismo e dell'islam - tra cui gli amici argentini di Bergoglio, Skorka e Abboud - ed esponenti del mondo ebraico italiano come Renzo Gattegna, presidente dell'Ucei, e Riccardo Pacifici, presidente della Comunità di Roma. Non c'è ufficialmente la politica, ma quando si affrontano temi religiosi - anche se per invocare la pace - il ghiaccio si fa molto sottile. Quindi tutto è stato ben chiarito a monte: non è una preghiera comune interreligiosa, non è un atto liturgico. «Non si prega insieme, ma si sta insieme per pregare» è la precisazione del portavoce padre Federico Lombardi. Quindi tre distinti momenti (accompagnati da musiche) in ordine cronologico: ebraico, cristiano e musulmano, con una partecipazione a "geometria variabile" tra i membri delle delegazioni dei due Stati. In quella israeliana ci saranno, oltre ad ebrei, anche musulmani e drusi, in quella palestinese anche cristiani, e ciascuno seguirà il proprio credo.

Un altro aspetto dell'incontro di questa sera riguarda la presenza del Patriarca ortodosso Bartolomeo I, che il Papa ha voluto a Roma. Si tratta di un gesto di straordinaria valenza ecumenica - i cristiani che in Terra Santa sono da sempre divisi sul fronte della pace marciano uniti, è il messaggio - che permette di compiere passi di gigante sul fronte di un dialogo faticoso. Tanto che questo coinvolgimento del Patriarca di Costantinopoli starebbe creando qualche inquietudine a Mosca, dove il Patriarca Kirill da tempo cerca di affermare la propria primazia nel mondo ortodosso, prospettiva che sembra riallontanarsi. Forse si sta avvicinando il momento di un incontro, anche quello storico, tra il pontefice romano e il patriarca russo. A Mosca? Fino all'elezione di Bergoglio era impensabile. Ora nulla sembra più davvero impossibile.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi