Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2014 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 18 giugno 2014 alle ore 07:58.

My24

Tornano a fiorire le nuove quotazioni in Borsa non solo in Italia, ma in tutti i principali Paesi, dopo un letargo pluridecennale. I recenti casi di Fineco, Fincantieri e Cerved confermano che la ripresa che si intravvedeva nel 2013 e che aveva portato a 16 nuove quotazioni nell'anno, per una raccolta superiore agli 1,2 miliardi, viene confermata e consolidata (dal l'inizio del 2014 il valore delle operazioni è già oltre i 2,8 miliardi).

Il fenomeno è in ogni caso globale: non solo negli Stati Uniti, da sempre anticipatori delle tendenze dei mercati azionari, ma anche in Europa, dove nel primo trimestre dell'anno le imprese di nuova quotazione hanno raccolto più dei quattro anni precedenti messi assieme. Per l'Europa si tratta di segnali incoraggianti perché si mostrano segni importanti di interesse degli investitori verso Paesi come l'Italia e la Spagna che stanno faticosamente uscendo da una crisi gravissima. Proprio l'anno scorso, un importante studio dell'Ocse mostrava che il declino delle nuove quotazioni aveva radici di lungo periodo, solo interrotto dalla bolla tecnologica di fine secolo e che le nuove quotazioni riguardavano ormai in misura prevalente i Paesi emergenti e non quelli sviluppati. Tutto clamorosamente smentito, dunque? Non proprio, ed è interessante vedere cosa si può intravvedere all'ombra delle Ipo in fiore, come direbbe il grande Marcel.
Va detto innanzitutto che il fenomeno è trascinato dalla fase positiva dei mercati azionari, che è giunta ormai al suo quinto anno e non smentisce quindi completamente la diagnosi precedente. Tanto è vero che i fondi che le imprese raccolgono in Borsa continuano ad essere inferiori alle somme pagate agli azionisti per dividendi e buy-back.

Per l'Italia, la Consob stima un deflusso netto per il 2013 di quasi 120 miliardi. È quindi possibile che anche nel 2014 le Borse continuino a rappresentare un canale per distribuire fondi, non per raccoglierli, cioè un fiume che scorre dalla foce alla sorgente, come aveva già ammonito il rapporto Kay sul mercato azionario britannico.
Inoltre, va ricordato che la fiducia degli investitori nelle Ipo dipende crucialmente dalla congruità dei prezzi di collocamento. Nel passato, questi sono stati fissati sulla base di ipotesi molto ottimiste sui redditi futuri (qualche volta anche sulla base di informazioni non corrette, ma questa è un'altra storia) e hanno causato rendimenti deludenti, soprattutto per le operazioni intorno alle quali più intenso era stato il clamore pubblicitario. Non si tratta di un'ipotesi peregrina. I prezzi di oggi di Facebook e Twitter sono ancora inferiori a quelli di quotazione del 12 e del 57 per cento rispettivamente.

Insomma, non è affatto detto che l'onda ciclica positiva non sia una componente positiva che si iscrive in un trend comunque discendente. Proprio per capire cosa bisogna fare per consolidare questa nuova primavera delle Borse è utile ricordare le cause individuate dalla ricerca dell'Ocse prima citata: non tanto la regolamentazione sugli obblighi informativi (un capro espiatorio degno del ciclo di Malaussène) quanto la distruzione di quello che gli autori definiscono l'"ecosistema" per la quotazione di nuove imprese, soprattutto di piccola e media dimensione e che ha manifestazioni molto complesse nella microstruttura dei mercati di oggi, in cui finiscono per prevalere comportamenti miopi e per dominare operazioni di scambio frenetico di titoli (il cosiddetto high frequency trading) a scapito dell'ottica di medio periodo che è l'unica in cui si consolida la capacità della Borsa di sostenere gli investimenti. Non diversa la diagnosi del rapporto Kay, secondo cui la struttura complessiva dei mercati è oggi dominata dagli interessi degli intermediari, cioè delle grandi banche di investimento, anziché degli utenti veri che sono le imprese e gli investitori. E se si considera quanto sia importante la torta delle commissioni assicurata dalle Ipo (proporzionale ai valori di emissione) si capisce quanto il problema sia delicato: dall'inizio dell'anno secondo le stime le grandi case hanno incassato 3,2 miliardi di dollari, con incrementi percentuali a due e anche tre cifre rispetto all'anno scorso.

Insomma, la ripresa delle Ipo si iscrive nel quadro dei segnali positivi sull'uscita dalla crisi dell'Europa e dell'Italia in particolare; ancora più di altri segnali merita di essere consolidato per fare in modo che faccia da supporto al rilancio degli investimenti, della produzione e dunque dell'occupazione. Occorre aumentare le quotazioni di piccole e medie imprese in crescita, perché sono quelle che stanno più risentendo della gelata del credito, pagando a caro prezzo una riluttanza storica alla quotazione. Le nostre banche, come ammonisce da tempo la Banca d'Italia, hanno una responsabilità cruciale nel consigliare e incoraggiare le imprese in questo momento così delicato.
È dalle banche che dipende in gran parte il successo delle misure a favore delle nuove quotazioni annunciate dal governo. E bisogna anche interrogarsi, ma questo può avvenire solo a livello europeo, su quali siano gli interessi che oggi dominano le Borse e le nuove quotazioni. Le analisi ci sono: un buon punto di partenza per una vera strategia europea di rilancio delle Borse e dunque per la nuova legislatura europea che si apre proprio nel segno della presidenza italiana.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi