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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 12:27.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 20:37.

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Massimo Giuseppe Bossetti (Italy Photo Press)Massimo Giuseppe Bossetti (Italy Photo Press)

Non aveva mai visto Yara Gambirasio, non sapeva di essere figlio illegittimo e non sa come possa essere stato trovato il suo Dna sugli indumenti della tredicenne di Brembate di Sopra, scomparsa il 26 novembre 2010 e ritrovata morta in un campo a Chignolo d'Isola tre mesi dopo. Questo ha detto Massimo Giuseppe Bossetti agli inquirenti nell'interrogatorio di garanzia che si è svolto questa mattina, secondo quanto riferito ai giornalisti dal suo legale. In merito all'alibi, nel suo interrogatorio davanti al gip di Bergamo per la convalida del fermo per l'omicidio di Yara, Bossetti ha dichiarato che nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010 si trovava a casa propria.

Massimo Giuseppe Bossetti avrebbe appreso solo stamani di essere figlio illegittimo e questo lo ha «sconvolto», ha detto il suo legale d'ufficio, Silvia Gazzetti, al termine dell'interrogatorio. Inoltre, «la sera del delitto era a casa con la famiglia». Sul fatto, invece, che il suo telefono fosse stato spento per 14 ore, l'avvocato ha spiegato che «questo lungo momento è stato dovuto al fatto che il telefono era scarico, ed è stato messo in carica». Infine l'avvocato di Bossetti ha ribadito che il suo assistito non conosceva Yara e di avere incontrato il padre della ragazzina solo una volta all'interno «di un cantiere per motivi di lavoro, non ha mai parlato con lui, non ha avuto nessun rapporto, lo ha riconosciuto perché visto sui giornali». Bossetti, ha aggiunto il legale, ha risposto a tutte le domande e ha rotto così per la prima volta il silenzio per «proclamarsi innocente e totalmente estraneo ai fatti che gli sono stati contestati».

Il gip di Bergamo ha deciso che Massimo Giuseppe Bossetti deve rimanere in carcere, pur non convalidando il fermo dell'uomo.

Intanto, la famiglia Bossetti ha contattato uno studio legale. «Ci siamo visti alle 21.30 di ieri sera e adesso noi e la famiglia Bossetti ci siamo presi del tempo per delle valutazioni, non di natura economica, ma di strategie». A dirlo Benedetto Bonomi, l'avvocato di Brescia che ieri sera è andato, insieme al fratello Jacopo - anche lui avvocato - a casa di Fabio Bossetti, il fratello di Massimo Giuseppe, l'uomo fermato per l'omicidio di Yara Gambirasio.
In casa, a Brembate di Sopra, erano presenti all'incontro anche la sorella gemella di Bossetti, Laura Letizia, e la moglie Marita Comi. «Si tratta - continua Bonomo - di una famiglia normale che in difficoltà si è rivolta ad un avvocato che non è di primo pelo». Bonomo, infatti, in passato ha difeso, tra gli altri, anche Vicky Vicky, l'indiano in carcere per avere investito la ginecologa di Trescore Eleonora Cantamessa e il fratello Baldev Kumar, e i famigliari di Domenico Magrì, l'imprenditore di Bottanuco, sempre in provincia di Bergamo, che aveva ucciso il suo socio e la moglie prima di togliersi la vita.

Il legale peraltro tiene a precisare che «si sta comunque facendo i conti senza l'oste. Bossetti è in carcere e non ha ancora visto i famigliari e attualmente è rappresentato da un altro avvocato. In serata o domattina al massimo entrambi, noi come studio e loro come famiglia, decideremo se assumere l'incarico».

Intanto nella villetta a Brembate di Sopra dove vive Fabio, il fratello di Bossetti, nessuno si vuole esporre. Al citofono risponde una donna, spiegando che «Fabio non se la sente di parlare». Poi, per tutelare ancor più la privacy di uno dei componenti della famiglia finita al centro della cronaca, si affaccia al balcone, ritira la biancheria stesa e chiude le persiane.


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