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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2014 alle ore 10:07.
L'ultima modifica è del 21 giugno 2014 alle ore 10:08.

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Nel Paese in cui anche il capo del governo ed ex sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ammette in pubblico che sulla nuova imposta Tasi ha «capito poco», ogni semplificazione fiscale e burocratica è benvenuta e va valutata positivamente.

Tanto più, come è accaduto ieri, quando il governo non annuncia una riforma che verrà ma decide: sono due i decreti legislativi approvati (passeranno ora all'esame delle commissioni parlamentari competenti e torneranno poi al Consiglio dei ministri per il via libero definitivo) che iniziano ad attuare la delega fiscale, il cui cammino iniziò nel 2012.
Le semplificazioni per cittadini, imprese e società, assieme al primissimo passo per la leggendaria riforma del catasto, sono diverse e significative. La parte (mediatica) del leone la fa, naturalmente, l'annuncio della dichiarazione dei redditi pre-compilata dal Fisco per lavoratori dipendenti e assimilati e per i pensionati, circa 30 milioni di contribuenti. Vedremo, in concreto, come funzionerà questo passaggio delicato. Ma nel complesso è un fatto che tiri un'aria da atteso cambio di stagione, anche se per strada si è perso qualche pezzo importante, tipo l'allungamento da tre a cinque anni del periodo di perdita che fa scattare la maxi Ires al 38% sulle società.

Da qui a dire che il Fisco è diventato "amico" di cittadini e imprese e che, addirittura, è scattata la "rivoluzione liberale", però, ne corre. Intanto perché l'attuazione piena della delega di riforma fiscale prevede il varo di almeno altri 25 decreti. E poi perché la montagna da scalare è altissima. Solo tra marzo 2008 e marzo 2014, come emerso nell'ultima assemblea degli industriali a Milano, sono state approvate 629 norme fiscali: 72 di semplificazione per le imprese, 168 a impatto zero, 389 con un carico amministrativo aggiuntivo per le imprese. Per non parlare dei travagli fiscali che sul fronte Imu-non Imu-Tasi i contribuenti hanno dovuto sopportare, e continuano a sopportare, da due anni a questa parte.
Più burocrazia, meno trasparenza e molta incertezza. Non c'è autorevole indagine internazionale che non metta l'accento sullo storico ritardo italiano e sui record, negativi, che abbiamo inanellato a ritmi crescenti. La delega fiscale nelle sue prime righe richiama al rispetto del principio della irretroattività fissato dalla Statuto dei diritti del contribuente, legge del 2000 da allora tra le più calpestate da governi e parlamenti di ogni colore. Cambiare le regole in corso e non rispettare gli impegni assunti, per lo Stato, non è mai un buon affare. Vale per il Fisco ma non solo, come mostra il caso dello "spalmaincentivi" con effetti retroattivi per le energie rinnovabili. Semplicemente, si alimenta l'incertezza del diritto e si disincentivano gli investimenti, in particolare quelli esteri di cui abbiamo assoluta necessità.

Il Fisco sarà poi davvero "amico" solo quando allenterà la sua pressione, anche in termini di prelievo, su cittadini e imprese. La delega ("orientata alla crescita") non prevede direttamente questo obiettivo ma è funzionale - con la riforma del contenzioso tributario, ad esempio- allo sblocco del sistema per favorire lo sviluppo. Però non potrà esserci crescita sostenuta, il vero fattore che può tagliare il debito pubblico, fino a che le tasse non scenderanno in modo stabile e significativo. Ieri la Spagna ha varato una manovra da 7,6 miliardi per alleggerire l'Irpef e tagliare l'aliquota per le società dal 30 al 28% nel 2015 e al 25% negli anni successivi. Il dato italiano si commenta da solo quando si nota che per le piccole e medie imprese la pressione fiscale reale sfonda quota 68%.
Ma abbassare le tasse vuol dire tagliare le spese, e non rincorrere con la lotta all'evasione l'aumento di queste ultime. La prima riforma strutturale, che del resto lo stesso premier Renzi ha nel mirino, consiste nel ridurre il perimetro dello Stato venuto su, dagli anni 70 alla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, con l'albero storto del decentramento amministrativo fiscalmente irresponsabile. Ecco, questa sarebbe la grande rivoluzione.

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