Notizie ItaliaMarchionne: «Montezemolo? Nessuno è indispensabile»
Marchionne: «Montezemolo? Nessuno è indispensabile»
di Paolo Bricco | 7 settembre 2014
Oltre alla flex-security, c'è poi un problema di psicologia collettiva: la sovrapposizione fra ogni ragionamento sulla modernizzazione del mercato del lavoro e un habitus mentale ultraideologico. Un habitus mentale che nasce dalla trasformazione – avvenuta in un Novecento segnato non solo dalla centralità delle fabbriche, ma anche dell'egemonia dei sindacati – dell'impresa da soggetto di mercato a una sorta di "chioccia" che si deve occupare – quasi con una valenza eticogiuridica – del benessere dei lavoratori e della sua famiglia. Da qui, tutte le policy finalizzate a conservare, perfino in misura artificiale, il «posto di lavoro», anche quando esso è diventato un simulacro, perché l'impresa ormai non riesce più ad avere una ragione e una sostenibilità economica. E, peraltro, con un effetto paradossale. «Perché – ricorda Marchionne – la cassa integrazione è finanziate dalle aziende stesse». L'impasto di rigidità giuridiche e di assurdità culturali ha fatto precipitare l'Italia al centotrentaseiesimo posto (su centoquarantaquattro) nella classifica del World Economic Forum per l'efficienza del mercato del lavoro in entrata. Se si considera anche quella in uscita, scende al centoquarantunesimo, davanti soltanto al Sud Africa, al Venezuela e allo Zimbabwe.
«L'Irap – dice Marchionne – è una imposta assurda, che viene calcolata sul numero dei lavoratori indipendentemente dall'andamento del ciclo economico e dell'impresa. Questa imposta è spiegabile soltanto con la cultura antiindustriale italiana». Oggi il conflitto non è più fra capitale e lavoro, ma fra sistemi economici nazionali. «In questo senso – afferma l'amministratore delegato di Fca – l'auspicio è che, nel suo profilo operativo e finale, il Jobs Act trovi un nuovo equilibrio fra Stato, imprese e dipendenti».
L'incertezza del diritto e la rappresentatività sindacale
L'altro elemento che gli investitori industriali, non soltanto italiani ma anche stranieri, subiscono è la (in)certezza del diritto. In questo caso specifico, del diritto del lavoro. «Alla fine del 2011 – ricorda Marchionne - la Fiat ha sottoscritto un contratto collettivo specifico di lavoro, che la Fiom non ha firmato. In base a una norma di legge, di una chiarezza cristallina – e cioè l'articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori – chi non firma il contratto non ha diritto a rappresentanze sindacali in azienda. Noi abbiamo applicato la legge, in modo coerente e rigoroso. Ci siamo visti intentare 62 cause. Quarantasei si sono chiuse a nostro favore e sette contro. Altre sette sono state rinviate alla Corte Costituzionale. Due sono rimaste in sospeso».
Non solo. Aggiunge Marchionne: «Dopo un anno e mezzo, la Corte costituzionale ha ribaltato l'indirizzo che lei stessa aveva espresso, in numerose occasioni, per 17 anni. Dichiarando l'articolo 19 non conforme alla Costituzione italiana, ha cancellato uno dei pochi punti di riferimento certi. Ad oggi, non esiste alcun parametro affidabile per stabilire quale sindacato è rappresentativo, e ha quindi titolo per negoziare con l'impresa, e quale invece no. Vi chiedo se questo è un modo per dare certezze a un'azienda».