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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2014 alle ore 13:34.
L'ultima modifica è del 22 settembre 2014 alle ore 07:48.

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Su questo punto ha ancora ragione il presidente del Consiglio quando ironizza su coloro che vorrebbero riportare il Pd al 25 per cento. In effetti solo chi non ha una precisa percezione dell'Italia ingessata nella camicia di forza dell'immobilismo politico, sindacale, amministrativo, può ritenere che paragonare l'avversario alla Thatcher sia un insulto. Sarebbe meglio riconoscere che la "signora di ferro" ha avuto ben pochi continuatori in Italia, uno dei Paesi più refrattari del mondo alle sue ricette.

Di sicuro non c'è stato alcun "thatcheriano" di rilievo a destra, nella stagione di Berlusconi. Quanto a Renzi, il suo discorso nello stile "pensiamo prima ai disoccupati" riecheggia, magari in modo inconsapevole, antiche suggestioni domestiche, benché minoritarie, e non ha niente a che vedere con il liberismo estremo degli anni Ottanta.

Qual è allora la principale differenza fra l'appello di Ugo La Malfa e la strategia renziana quarant'anni dopo? Sono assai diversi i protagonisti, ovviamente, ma è molto diverso soprattutto lo scenario. L'Italia di allora era ancora piuttosto ricca e poteva ridistribuire le risorse. L'Italia di oggi è in recessione ed è sollecitata dall'Europa, dal Fondo monetario, dalla stessa Banca centrale. È una condizione scomoda e scivolosa.

Ma c'è anche un'altra differenza, forse la maggiore. La riforma del lavoro – come tutti hanno capito, anche chi la avversa – è il tema cruciale dell'autunno. È la riforma che può aprire un varco nell'ingessatura del sistema. Ma può essere all'occorrenza un punto di frattura, se si vuole dividere l'opinione pubblica e cacciare nell'angolo i conservatori di sinistra accanto a quelli di destra. Il rischio è proprio questo: che si tratti di una pedina di un gioco tutto politico con risvolti elettorali. Una sfida vissuta sul filo delle dichiarazioni "spot" e delle polemiche solo mediatiche.

Un tempo discutere di occupati e disoccupati voleva dire trovare elementi di sintesi per far progredire il Paese e dare risposta a una sofferenza sociale. C'è da augurarsi che sia così anche oggi, benché la società del web e della tv obblighi a cercare il colpo a effetto, come in un duello all'OK Corral. Forse sul lavoro si può ancora individuare il terreno di un rapido confronto che eviti la solita contrapposizione del palazzo contro la piazza. Non perché il palazzo, in questo caso il Parlamento, non abbia tutti gli strumenti per affermare la propria decisione, ma per evitare agli italiani nuove nevrosi e al limite ulteriori ritardi.

Stavolta Renzi ha imboccato la strada giusta, purché sappia portare fino in fondo l'iniziativa riformatrice e sappia collocarla nella cornice di un impegno che dovrà essere più ampio e convincente di quello che riguarda l'articolo 18. Sarebbe invece pericoloso, nelle attuali circostanze, se qualcuno pensasse di suscitare tanto clamore con il retro-pensiero di aprire un sentiero verso le elezioni anticipate. Non è il caso di Renzi, probabilmente. Almeno non ancora.

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