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Alla Juve la serie A non serve nemmeno per allenarsi in chiave Champions

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contropiede

Alla Juve la serie A non serve nemmeno per allenarsi in chiave Champions

Peggio di quanto fosse lecito aspettarsi e, lo ammetto, anche peggio di quanto avessi immaginato io stesso prima dell’inizio del campionato. La nostra Serie A è ridotta a un torneo di secondo piano, lontano anni luce da quello che un tempo veniva definito «il campionato più bello del mondo». Adesso di bello c’è pochissimo, e non possiamo scambiare la mediocrità di squadre che possono perdere contro chiunque con l’eccellente livello di trent’anni fa, quando il perdere contro chiunque era frutto della forza (reale) di quasi tutti i protagonisti della massima serie. Basti ricordare, al proposito, che nel campionato 1991-92 il capitano della Nazionale Inglese, al secolo David Andrew Platt, giocava nel Bari.

Oggi tutte perdono contro tutte perché il livello si è abbassato, con la sola eccezione della Juventus che veleggia tranquilla verso il sesto scudetto consecutivo: a meno di disastri imprevisti e imprevedibili a fine stagione il distacco dalla seconda sarà abissale, e per rimettere in discussione l’esito finale dell’assegnazione dello scudetto occorrerrà qualcosa di ancor più incredibile.

La Juventus regina solitaria in Italia, oggi, ha un solo problema: vuole vincere la Champions. Desiderio più che legittimo, che si complica non tanto per la qualità degli avversari che incontrerà in Europa, ma soprattutto perché una Serie A di così basso livello non permette a Buffon e compagni di prepararsi adeguatamente alle sfide “vere” che arriveranno nel cammino internazionale.

Scendere in campo in campionato, per i bianconeri, vale ormai tanto quanto giocare le partitelle in famiglia a Vinovo, nella fase di preparazione estiva. Tanto per essere chiari: per perdere, o almeno per pareggiare, non servono nemmeno le papere di Buffon. Un evento così raro da meritare di essere segnato sui calendari insieme alle eclissi di Luna. Dopo quella in Nazionale ne è arrivata un’altra contro l’Udinese. Risultato? Due a uno per la Juventus, come se niente fosse.

Giocare così, facendo il minimo sforzo, contro avversari che si piegano come giunchi davanti alla tempesta, non prepara nemmeno lontanamente a reggere il colpo quando di fronte ci saranno Real, Bayern, Atletico e compagnia cantante.

Il secondo campionato, quello di tutte le altre, vede appaiate in seconda posizione Roma e Milan: incredibile, solo un mese fa, pensare a una classifica di questo tipo. Incredibile pensare che il Napoli potesse naufragare miseramente; incredibile pensare che i giallorossi, ma soprattutto i rossoneri, potessero risorgere fino a questo è punto. Se diamo credito alla vecchia regola per cui alla fine della stagione i valori “veri” sono destinati a emergere il Napoli dovrebbe arrivare in Champions insieme alla Roma, e il Milan ripiegare in zona Europa League.

In ogni caso, se diamo un minimo di valore alla statistica, dopo otto giornate Roma e Milan hanno già due sconfitte (e un pareggio) contro l’unica sconfitta della Juventus: una proiezione a fino anno le porterebbe ad avere un distacco di oltre 20 punti dalla vetta e dalla Vecchia Signora di nuovo campione d’Italia. Il calcio non è matematica, ma un po’ di numeri talvolta aiutano a capire come stanno le cose.

Quello che invece non si riesce a capire, nemmeno con i numeri, è il crollo dell’Inter: dopo la bella prova contro la Juventus la squadra si è sfaldata come neve al sole e la sconfitta di ieri a San Siro (meritatissima) contro il Cagliari mette in crisi il progetto di De Boer. Sempre che di progetto si tratti davvero e non, come sostengono in molti, di una semplice transizione in attesa dell’arrivo del Cholo Simeone. Male in difesa, con meccanismi che sono tutti da rivedere, male nella fase di costruzione del gioco e male, anzi malissimo, in attacco: dove la presenza di Icardi come unica vera punta di ruolo lascia l’Inter in brache di tela se il giovane attaccante argentino non la mette dentro. Ieri non solo non l’ha messa dentro, ma ha pure sbagliato un rigore (generoso l’arbitro nell’occasione).

Il tutto dopo essere riuscito, e questo l’ha fatto benissimo, a inimicarsi lo stadio dopo la pubblicazione di alcuni brani della sua autobiografia. In cui, a proposito di tifosi, non scrive cose particolarmente edificanti. Le domande a questo punto potrebbero essere molte: a partire dal perché, a 23 anni, qualcuno possa sentire l’impulso di pubblicare un’autobiografia. Proseguendo con il chiedere alla società nerazzurra per quale motivo la fascia di capitano, appartenuta in passato a gente come Mazzola, Bergomi e Zanetti, sia stata affidata a un poco più che ragazzino mosso (come si è visto in occasione della sceneggiata per il rinnovo del contratto) dai fili tirati dalla di lui signora. Che dell’Inter, sia chiaro, sembra peraltro (ripeto sembra) avere scarsissimo rispetto.

E sempre alla società nerazzurra bisognerebbe chiedere per quale motivo sia stato apparecchiato un sontuoso contratto per un giocatore che segna, per essere sinceri, ma che per essere altrettanto sinceri non rientra nel novero dei primi cinque attaccanti argentini del momento (la Nazionale la vede in tv...) pur entrando di diritto nella classifica dei primi cinquemila attaccanti di tutti i tempi, sempre soltanto argentini.

Domande che resteranno senza risposta: Icardi tornerà a segnare e l’Inter, con qualche risultato positivo consecutivo, tornerà nei piani alti della classifica. Perché tanto, a perdere, in Serie A prima o poi ci pensano tutte. Juventus esclusa...

Buon campionato a tutti

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