Nel suo curioso avvio, la campagna elettorale per le politiche del 4 marzo sembra svolgersi in un Paese che cresce come la Cina dei tempi d'oro senza doversi preoccupare di debito pubblico o vincoli di bilancio. A dominare l'orizzonte fiscale è la “flat tax”, con il suo balletto delle aliquote e dei miliardi di costi che volano da una proposta all'altra. L'ultimo scontro è di questa mattina, e ha opposto il segretario del Pd Matteo Renzi al capogruppo di Fi alla Camera Renato Brunetta.
Il primo ha bollato le ipotesi di flat tax come «effetti speciali senza copertura», e il secondo gli ha ribattuto parlando di «misura rivoluzionaria destinata a rilanciare il Paese». Ma al di là dei fuochi d'artificio polemici la domanda, all'inizio di un anno che vede pendere sul bilancio italiano l'incognita di un'altra manovra correttiva e 12 miliardi abbondanti di aumenti Iva da affrontare con la prossima manovra, è ovvia: la flat tax si può fare? La risposta è più articolata: e dipende da come si prevede di intervenire sui meccanismi attuali di deduzioni e detrazioni, perché i costi effettivi, e quindi le coperture necessarie, dipendono da quello più che dal balletto delle aliquote che appassiona la politica.
Le cifre
Due numeri aiutano a misurare il problema. Oggi i 40,8 milioni di italiani contribuenti Irpef dichiarano 833 miliardi di reddito lordo, cifra che scende a 790 miliardi una volta applicate le deduzioni (che escludono dall'imponibile per esempio i carichi famigliari, la previdenza complementare, i contributi alle colf e così via) e le entrate da affitti soggette a cedolare secca. Questo montante produce un'imposta lorda da 214 miliardi di euro (con un'aliquota media effettiva del 27%): ma a questo punto intervengono le detrazioni, dalle spese sanitarie a quelle previste per lavoro dipendente e pensioni, che portano il conto netto dell'Irpef a 155 miliardi. Nel sistema attuale, i redditi fino a 8.174 euro sono fuori dal raggio del fisco per la “no tax area”.
Tassa piatta e sconti
Per sostituire la scala delle aliquote con la tassa piatta, ovviamente, occorre ripensare integralmente anche il sistema delle deduzioni e delle detrazioni; senza questa mossa, la riforma sarebbe insensata, probabilmente incostituzionale per la mancata progressività e soprattutto affondata da costi insostenibili. Se si tiene tutto com'è, infatti, un'aliquota al 23% costerebbe 40 miliardi all'anno, una al 20% ne richiederebbe 63 e una al 15% imporrebbe coperture fino a 102 miliardi.
Le proposte
Per questa ragione, i programmi delle Forze politiche, Lega e Forza Italia in primis, che spingono sulla tassa piatta dovranno prima di tutto entrare nel dettaglio delle novità in fatto di detrazioni e deduzioni. Senza queste informazioni, ogni ragionamento è infondato, e ogni calcolo sui costi veri è impossibile. Il partito di Salvini da tempo propone una deduzione di base a 3mila euro. Dalle parti di Forza Italia, invece, la giostra dei parametri è in pieno movimento: Berlusconi ha parlato ieri sera a Porta a Porta di un'aliquota iniziale al 23%, con la prospettiva di farla scendere nel tempo almeno fino al 20% indicato in alcuni documenti ufficiali del partito, ma su deduzioni e detrazioni è ancora tutto da definire.
La proposta dell'Istituto Bruno Leoni
A riprova della complessità del tema, per incontrare una proposta dai contorni più definiti bisogna lasciare un momento da parte la politica dei partiti e guardare al dibattito tecnico, animato dalla proposta elaborata dall'Istituto Bruno Leoni e illustrata da Nicola Rossi sul Sole 24 Ore del 25 giugno. In questo caso l'aliquota è al 25%, ma oltre all'Irpef riguarderebbe la tassa sulle società (Ires, oggi al 24%), l'Iva (oggi oscilla dal 10 al al 22% a seconda dei beni a cui è applicata) e la tassa sui redditi da attività finanziarie (oggi in genere al 26%). La deduzione di base sarebbe a 7mila euro, nel nuovo sistema scomparirebbero Imu e Irap, e un aiuto (il «minimo vitale») differenziato per territorio aiuterebbe chi non ce la fa. Lo stesso Bruno Leoni spiega che i conti tornano a tre condizioni: l'addio ai tanti pezzetti di welfare accumulati in modo disordinato negli anni (sostituiti dal «minimo vitale»), l'esclusione della gratuità dei servizi (per esempio la sanità) per i ceti più abbienti e un taglio strutturale alla spesa pubblica per quasi 70 miliardi (quattro punti di Pil).
Le condizioni
Proprio il taglio della spesa pubblica e il ripensamento degli sconti fiscali sono le incognite principali che pesano sulle proposte della campagna elettorale. Sul primo punto, l'ambizione di questi giorni si è dedicata più alla riduzione delle entrate (con le ipotesi di abolizione o revisione della legge Fornero oppure quelle di abolizione totale dell'Irap, per fare due esempi) che al taglio delle spese. E la potatura delle oltre 400 forme di sconti, spesso micro-settoriali, che complicano il nostro Fisco è un progetto in cantiere da sette anni, oggetto ogni 12 mesi di un rapporto allegato al Def, ma rinviato a ogni manovra per non scontentare nessuno. Se si vuole davvero provare la strada della flat tax, bisogna invertire la rotta.
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