Se compare tra le priorità degli "e-lettori", che stanno inviando centinaia di mail al Sole24Ore in risposta all'iniziativa #iotivotose, il tema della riduzione del debito pubblico non è certo tra gli argomenti più gettonati di questa campagna elettorale. Si preferisce tentare di catturare il consenso degli italiani con proposte mirabolanti sul fisco, o sulle pensioni, che peraltro con il debito pubblico hanno molto a che fare, se si considera che gran parte delle coperture proposte finirebbe per scaricarne l'onere sulle future generazioni. Esattamente quel che si è fatto tra gli anni Settanta e Ottanta, quando il debito pubblico è esploso ipotecando con ciò il futuro di diverse generazioni.
Una sorta di rimozione pubblica sta andando in scena da settimane su quello che resta il problema numero uno per la nostra economia. Ci si meraviglia e si reagisce se il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici (peraltro iscritto normalmente tre le colombe della Commissione Ue e non trai falchi) esprime preoccupazione proprio per le proposte economiche avanzate da alcune delle formazioni politiche che si contendono la vittoria nelle elezioni del 4 marzo, in particolare quelle del M5S e della Lega. Si dimentica però che da quando l'Italia è entrata nella moneta unica, il problema del suo debito pubblico (uno dei più alti al mondo) non è più soltanto italiano ma europeo, appunto. Vale allora la pena di riassumere i termini della questione.
Allo stato attuale il debito pubblico ammonta in valori assoluti a circa 2.300 miliardi, ma quel che conta è il rapporto del debito con la ricchezza prodotta dal Paese, vale a dire il Pil. Bene, siamo al 132,7 per cento. Per finanziare un debito di questa portata, che solo ora a fatica si va stabilizzando e dovrebbe da quest'anno avviare la sua lenta discesa, occorre impegnare 60 e i 70 miliardi di spesa per interessi. E' quel che serve per finanziare con le emissioni di titoli di Stato le tranche di debito in scadenza. Ogni anno, il Tesoro emette titoli per circa 400 miliardi. I debiti vanno onorati, a qualsiasi livello, e non si può sperare che a farlo siano altri. Fondamentale è la fiducia, la reputazione (da qui l'allarme di Bruxelles) perché è su questa variabile decisiva che si basano le decisioni di investitori italiani ed esteri, dei mercati finanziari e di quanti sottoscrivono i titoli del nostro debito pubblico. Siamo su un crinale stretto, non possiamo permetterci deviazioni significative dal sentiero tracciato (se pur con la flessibilità di cui abbiamo già fruito).
Al contrario, per garantire un futuro a questo Paese, occorre affrontare con serietà e senza allarmismi il tema di come garantire alla nostra economia un percorso stabile di crescita, avviando in tal modo (e senza traumi) la discesa del debito. Tassi di crescita più sostenuti degli attuali, che accanto al mantenimento di un elevato avanzo primario (il saldo tra entrate e uscite al netto degli interessi) consentano di abbattere gradualmente il macigno del debito, e non perché lo prevedono le regole europee, ma perché e ben al di la della propaganda elettorale non c'è crescita stabile e più occupazione senza un controllo accurato (e senza pericolosi salti nel buio) della finanza pubblica. Il debito può anche essere alto, ma quel che conta è la sua sostenibilità. E non a caso proprio a questo elemento decisivo guardano i mercati e le agenzie di rating.
In una campagna elettorale in cui è "abrogazione" la parola più usata e abusata, occorrerebbe ribadire che le riforme delle pensioni varate negli ultimi anni non sono un optional, ma rappresentano appunto la garanzia di sostenibilità del nostro debito pubblico. Al pari delle riforme strutturali (che si possono e si devono forse migliorare) varate finora, invocate peraltro a più riprese dalla Commissione europea, dall'Ocse e dal Fmi. Avere un debito sostenibile (non è questo il caso della Grecia) significa appunto essere in grado di garantire che nel medio periodo il mix di maggiore crescita, riforme strutturali (tra cui compare l'altro grande assente della campagna elettorale, vale a dire la lotta all'evasione!), minore spesa per interessi ed elevato avanzo primario rappresentano elementi di garanzia per gli investitori, i singoli cittadini e i nostri partner a livello internazionale.
L'alto risparmio – si dice – è altresì una garanzia di sostenibilità. In parte è vero, ma non per questo possiamo esimerci dal risolvere noi, in casa nostra, il problema numero che condiziona da decenni lo sviluppo della nostra economia. Scorciatoie e ricette miracolistiche non esistono. E attenzione, perché da due anni la spesa per interessi è in calo grazie ai bassi tassi di interesse e al programma straordinario di acquisto dei bond sovrani attivato dalla Bce, che però andrà quest'anno a ridursi (da 60 a 30 miliardi al mese) per poi cedere il passo a una condizione di normalità. Certo un po'più di inflazione (quanto meno vicina al target del 2% cui punta la Bce) aiuterebbe poiché il debito è espresso in termini nominali. Ma si tratta di una variabile solo in parte condizionata da dinamiche interne, ad esempio l'andamento dei consumi. In conclusione, una volta depositata la polvere di una campagna elettorale partita non certo all'insegna di una sana operazione di verità sulle priorità reali del Paese, il tema della riduzione del debito si riproporrà con forza, per chiunque sarà chiamato a governare da qui ai prossimi anni.
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