Gli elettori hanno votato e il risultato è netto e inequivocabile. I vincitori sono due: Movimento 5 Stelle e Lega. Assieme si attestano attorno al 50% dei consensi totali seppure la Lega, lasciandosi alle spalle Forza Italia, guidi la coalizione di centrodestra (quella che ha conquistato più voti) alternativa al Movimento. Ma si tratta di una vittoria parallela, con i tratti tipici di una scossa tellurica con forti tonalità anti-sistema e euroscettiche.
Sulla carta (e l’esercizio potrebbe valere anche considerando diverse affinità programmatiche) i numeri dicono che aggiungendo la formazione di centrodestra Fratelli d’Italia, il tris Di Maio-Salvini-Meloni supera abbondantemente il 50% dei voti degli italiani. E questo dato - mentre il Pd registra una sconfitta dal sapore epocale che ha portato alle dimissioni a lento rilascio del segretario Matteo Renzi - va considerato per quello che è: non uno scivolone ma un fatto reale che misura la profondità della svolta politica. Basta guardare a cosa è successo al Sud, dove si è consumata una sorta di Brexit all’italiana, frutto di anni e anni di abbandono e dove la promessa di un reddito di cittadinanza ha attecchito nel deserto di programmi credibili.
La conferma di una governabilità difficile e tutta da conquistare, dopo una campagna elettorale tra le peggiori della storia, è arrivata puntuale. A dispetto degli slogan e delle stoccate dirompenti sui social media, siamo di fronte ad una situazione complessa, che come tale va affrontata. Il calendario istituzionale e il necessario sostegno di una maggioranza parlamentare darà una mano una volta che saranno eletti i presidenti di Senato e Camera. Poi toccherà all’esperienza e alla lungimiranza del Capo dello Stato Sergio Mattarella tracciare un percorso in vista della formazione del nuovo Governo.
Nel frattempo è quasi banale ricordare che i mercati finanziari non dormono e che l’attenzione sul caso Italia, in Europa e nel mondo, è destinata a salire, non a scendere. Inevitabile: la stabilità del Paese detentore del terzo debito pubblico del mondo e seconda potenza manifatturiera d’Europa è un dato politicamente e economicamente sensibile, tanto più ora che la Germania ha risolto il suo rebus di governo e mentre la Francia di Macron la incalza sul terreno della riforma dell’Eurozona.
La politica italiana, a partire dai leader che hanno vinto le elezioni, dovrebbe così evitare di frullare in aria affermazioni che possono nuocere all’interesse nazionale. Perché di questo si tratta quando si discute dell’euro e della possibile uscita dalla moneta unica come fosse acqua fresca, dimenticando peraltro che la rete di sicurezza stesa con la politica monetaria Bce a trazione Mario Draghi è destinata ad esaurirsi. O quando si tralascia che una ripresa economica c'è: non ne va invertito il senso di marcia ma anzi accelerata la sua corsa senza alzare deficit e debito.
La campagna elettorale è finita e il contro-riformismo facile, à la carte, ha fatto il suo tempo. Italia First.
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