Sono passati poco più di due mesi (era il 27 settembre), da quando il leader del M5S Luigi Di Maio e i suoi ministri si affacciarono nella notte sul balcone di Palazzo Chigi con volti sorridenti, pugni alzati e dita a forma di V. Festeggiavano l’accordo in extremis con la Lega di Matteo Salvini sulla manovra, con lo sforamento del deficit al 2,4% per tre anni e con dentro il reddito di cittadinanza e la riforma della Fornero, i due cavalli di battaglia degli azionisti di maggioranza dell’esecutivo Conte.
Di Maio la definì «la manovra del popolo che per la prima volta nella storia di questo Paese cancella la povertà grazie al reddito di cittadinanza per 6,5 milioni di persone, per il quale ci sono 10 miliardi». Per Salvini era «la manovra del cambiamento con tasse abbassate al 15% per più di un milione di lavoratori italiani e diritto alla pensione per almeno 400.000 persone».
Secondo indiscrezioni trapelate nelle ore successive, il ministro dell’Economia Giovanni Tria avrebbe tentato, fino all’ultimo, di tenere il punto su una linea di maggiore prudenza, quella del deficit all’1,9% del Pil, necessaria per assicurare la stabilità finanziaria. Ma sin dalle prime ore di riunione a Palazzo Chigi, il pressing delle forze di maggioranza è stato incessante. La tensione avrebbe raggiunto livelli d’allerta. Alla linea M5S-Lega, si sarebbe affiancato anche Conte dopo i tentennamenti dei giorni precedenti.
La notte del 12 dicembre, per Di Maio era prevista un’altra festa con i suoi deputati e senatori per i sei mesi di governo. Festa in discoteca che ha dovuto disertare per partecipare alla cena a cinque con Salvini, il ministro per i Rapporti con il parlamento Fraccaro, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti e Conte, rientrato di gran fretta da Bruxelles per riferire dell’inversione di rotta sul deficit, non più al 2,4 ma al 2,04%. Pochi decimali che rappresentano però 6,5 miliardi da togliere alla manovra e il risultato di una grande opera di mediazione messa a punto dal premier e dal ministro dell’Economia (con la sapiente moral suasion del Colle). Dalla notte del balcone al più recente faccia a faccia tra Conte e il presidente del Consiglio la proposta italiana è cambiata.
Una settimana dopo la platea del reddito si restringe
Già dopo una settimana dall’istantanea del «balcone» le cifre cominciano a diventare più esigue. Il reddito di cittadinanza
raggiungerà 5 milioni di persone, secondo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (un po’ meno dei 6,5 milioni annunciati
da Luigi Di Maio la settimana precedente), sarà elargito probabilmente su una carta bancomat, per due anni e non oltre le
tre offerte di lavoro, e contribuirà da una parte a risollevare dalla povertà e dall’altra «ad offrire un’opportunità di lavoro»
a chi non ce l’ha. Per i furbi però non ci saranno sconti: chi imbroglia o lavora in nero, annuncia il leader Cinquestelle,
dovrà fare i conti con il massimo della pena, il carcere. Il M5s comincia a fare i conti con la linea leghista di contenimento
del provvedimento e ribadisce la portata dei finanziamenti (9 miliardi a cui se ne aggiungerebbe uno per il potenziamento
dei centri per l’impiego) e smentisce l’idea di una misura «a tempo», da sperimentare per un anno, in attesa di trovare altre
coperture. Bruxelles però non sembra per niente convinta. «Per il momento quello che so è che il deficit del 2,4 per cento
(previsto dalla Nota al Def, ndr), non solo per l’anno prossimo ma per tre anni, rappresenta una deviazione molto, molto significativa
rispetto agli impegni presi» tuona il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici.
A fine novembre la virata
Il 26 novembre, il giorno dopo la prima cena Conte-Juncker, il ruolo di mediatore del premier cresce a dismisura e la virata in suo favore nella maggioranza si fa netta: «Non è una sfida con l’Europa sul deficit ma
una sfida a mantenere le promesse dei cittadini sul reddito di cittadinanza e sulle pensioni. Lascio la contrattazione al
Presidente del Consiglio. Reddito di cittadinanza e quota 100 e Ires alle imprese non devono cambiare» avvisa Luigi Di Maio
a margine del vertice a Palazzo Chigi. La contrattazione passa dunque saldamente in mano a Conte. Anche se l’intesa Roma-Bruxelles
è ancora di là da venire. Per Juncker, l’Italia dovrebbe garantire uno 0,3%-0,4% di deficit in meno, corrispondente a circa
6 o 7 miliardi. Da parte sua Conte ha riferito che il governo M5s-Lega è disponibile a spostare 4 miliardi su misure per la
crescita, ma senza toccare il deficit a 2,4%. Al momento Luigi Di Maio e Matteo Salvini non sono disposti ad andare oltre.
Ma l’avvocato di Volturara Appula rimane ottimista.
Salvini: il 2,4% deficit/Pil non è nei 10 comandamenti
Giovedì 29 novembre. In occasione di un intervento in tv a “Porta a Porta”, Salvini apre: «Non è mica scritto nei 10 comandamenti
che bisogna fare il 2,4% nel rapporto deficit/Pil».
La trattativa con l’Ue procede al G20 di Buenos Aires
È il 30 novembre. A Buenos Aires, a margine del G20, Conte e Tria portano avanti la trattativa con Bruxelles. Intanto da Roma
giungono segnali di apertura. Salvini non esclude di poter utilizzare parte dei 16 miliardi destinati a reddito e pensioni
in altro modo. «I tecnici ci hanno detto che forse ci sono più soldi di quelli che servono», e «se mi dicono che posso prendere
quei soldi per altre cose, per le strade, per le alluvioni... allora li sposto».
«L’Ue non può dirci di fare 1,9% deficit/Pil»
Lunedì 3 dicembre. Ai microfoni di Rtl 102.5 Salvini avverte: «L’Europa non può dirmi: “Devi fare 1,9%” nel rapporto deficit/Pil.
Non passiamo il tempo con Conte e Di Maio a dire 2,2%, 2,7% o 2,3%».
Tria ai deputati in Commissione: non sono in grado di rispondere
Il giorno dopo, 4 dicembre, Tria di ritorno dall’Ecofin e dopo aver fatto lunga anticamera fuori la commissione Bilancio di
Montecitorio, precisa che si stanno studiando «varie soluzioni» ma che ora servono «decisioni politiche». Tria spiega ai deputati
di non essere «in grado» di rispondere in audizione alle domande: ci sono i contorni, ma le mosse del governo non sono ancora
definite.
Incontro a Palazzo Chigi sulla manovra: Tria non è convocato
Giovedì 6 dicembre. Tria non partecipa, in quanto non convocato, alla riunione sulla manovra con i vicepresidenti Di Maio
e Salvini che si tiene nel pomeriggio a Palazzo Chigi.
Salvini, Tria? «Lavoriamo insieme e bene». Rimpasto? «No»
Venerdì 7 dicembre. «Assolutamente, stiamo lavorando tutti insieme e bene». Con queste parole Salvini smentisce l’ipotesi
di dimissioni del ministro dell’Economia Tria a seguito di divergenze sulla gestione della legge di Bilancio. In serata arriva
il primo via libera alla manovra: è quello della Camera. Dopo essere stato assente in occasione del voto sulla fiducia posta
dal governo, in quanto a Milano per partecipare alla prima della Scala, Tria questa volta è in aula, seduto nel banco del
Governo.
«A me il mandato per trattare con l’Europa»
È il 9 dicembre. Salvini interviene alla manifestazione organizzata dalla Lega a Roma. «Datemi un mandato per trattare con
la Ue, non a nome del Governo, non come ministro ma a nome di 60 milioni di italiani», grida alle persone in Piazza del Popolo.
Il vicepremier leghista: totale sostegno a Conte, ha il mandato a dialogare
Lunedì 10 dicembre. Arriva un assist, sostanziale, a Conte, impegnato nella trattativa con Bruxelles. E arriva dal vicepremier
Salvini: «Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha totale stima, condivisione e sostegno dalle due forze politiche
della maggioranza - sottolinea in una conferenza stampa nella sede della stampa estera -: ci confrontiamo quotidianamente,
ha il mandato a dialogare» con la Commissione Ue sul Ddl di bilancio «nel nome del buonsenso rispettando il mandato che gli
italiani ci hanno dato. Non questioneremo per uno zero virgola, ci aspettiamo altrettanto buonsenso» da parte di Bruxelles,
conclude. Da parte pentastellata, Di Maio avverte: il reddito di cittadinanza «al massimo a fine marzo», mentre quota 100
«partirà a fine febbraio o inizio marzo». E aggiunge: per le due misure «forse serve qualche miliardo in meno: se si vogliono
usare per aumentare gli investimenti o per ridurre il deficit si deciderà nell'ambito del confronto con l’Ue».
GUARDA IL VIDEO - Manovra, Lega e M5s confermano quota 100 e reddito cittadinanza
L’ultimatum di Bruxelles su proposta concreta di correzione
Ma a due giorni dall’incontro tra Conte e il presidente della commissione Jean Claude Juncker, arriva da Bruxelles quello
che suona come un ultimatum: entro mercoledì 12 dicembre l’esecutivo M5s-Lega deve presentare una proposta concreta di correzione,
con modifiche «considerevoli» al progetto di bilancio nel prossimo triennio e che consenta, almeno nella forma, di rientrare
dalla «deviazione senza precedenti» dalle regole Ue che porta Roma verso le sanzioni.
Il 12 dicembre Conte incontra Juncker e mette sul tavolo il deficit al 2,04%
Nel governo sembrano delinearsi tre posizioni distinte. Quella del responsabile dell’Economia Tria, che fin dalla notte dei
pugni alzati dal balcone di Palazzo Chigi propone un rapporto deficit Pil per il 2019 all’1,9%; quella del premier Conte a
favore di una riduzione al 2%, rispetto al 2,4 registrato nei due programmi di bilancio inviati a Bruxelles; e quella dei due vicepremier, che non sono disposti a scendere oltre la soglia del 2,2 per cento. Il 12 dicembre è un mercoledì. Dopo un incontro al Quirinale
con il presidente Mattarella, Conte raggiunge Bruxelles dove si siede al tavolo con Juncker e gli propone una riduzione del deficit per il 2019 fino al 2,04% del Pil. All’incontro presso palazzo Berlaymont nella capitale belga partecipa anche Tria per la parte italiana, Moscovici e Dombrovskis
in rappresentanza della Commissione.
La nota comune di Di Maio e Salvini: piena fiducia nel lavoro di Conte
Il giorno dopo, arriva il via libera dei due vicepremier alla proposta avanzata da Conte. In una nota comune esprimono «piena
fiducia nel lavoro di Conte».
Manovra, Tria: su tavolo nostra proposta
13 dicembre, giovedì. Tria è a Bruxelles per il Consiglio Ue. «Stiamo discutendo sulla nostra proposta», risponde a chi gli
chiede come stia andando la trattativa con l’ Ue. Dopo una serie di incontri a livello politico, prima fra Tria e Moscovici,
poi fra Tria e Dombrovskis, il “tavolo” è occupato dai tecnici di alto livello comunitario e del Tesoro. Le trattative sono serrate per evitare una procedura d’infrazione per debito eccessivo. Bruxelles continua a chiedere un miglioramento del saldo strutturale. Il ministro si fermerà a Bruxelles fino a quando non
sarà raggiunto un accordo. La data limite è domenica sera per permettere la presentazione degli emendamenti alla finanziaria
in Senato e completare l’iter legislativo. Il conto alla rovescia è iniziato. Lo si capisce dalle dichiarazioni dei giocatori
coinvolti. E dalle proposte messe sul tavolo ai supplementari, diverse da quelle del primo tempo.
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