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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2010 alle ore 13:47.
«Google Mail. Google Phone. Google Voice. Google News. C'è qualche angolo della nostra vita in cui Google non vuole trovare un appiglio?». Inizia con questa domanda la lunga recensione che il critico tecnologico del New York Times David Pogue dedica a Google Tv. Il giornalista - celebre per le sue recensioni cantate su YouTube - ha provato e non gradito il nuovo servizio lanciato da Google, per ora solo in America.
L'obiettivo di Google, non nuovo, è quello di portare il web sulla televisione. Google Tv è un software basato sul sistema operativo Android, già diffuso all'interno di milioni di telefonini nel mondo. Google spera che, dopo l'esperienza americana, le società produttrici di tv integrino Android nelle loro televisioni, nei lettori Blu-ray e nei set top box per la trasmissione in digitale.
Al momento in America sono tre i prodotti compatibili con la Google Tv: lo schermo Sony Nsx-46gt1 da 46 pollici, il lettore Blu-ray Sony Nsz-gt1 e un set-top box di Logitech denominato Revue. Pogue ha provato la TV Sony e il decoder Logitech.
Il giudizio finale? «La Google Tv potrebbe essere interessante per tecnofili, ma non è per la gente media. Con questa mossa, nella linea del tempo che disegna la lunga storia della televisione, Google Tv compie un passo enorme nella direzione sbagliata: verso la complessità».
Usabilità, no grazie. Le critiche al nuovo servizio sono trasversali. «La funzione di ricerca è imprevedibile. A volte, cerca sia tra le web tv che tra le applicazioni. Altre volte appare solo la barra degli indirizzi del browser. altre volte ancora c'era solo all'interno del programma che si sta visualizzando, come per esempio l'applicazione Twitter».
E poi c'è quello strano telecomando. «Il controller Sony si deve impugnare con due mani. Sembra il telecomando di una xBox, con la tastiere in stile BlackBerry. Quattro tasti freccia permettono di spostare lentamente in modo goffo il cursore sullo schermo».
Ma il limite più grande è culturale. Per convincere il giornalista del New York Times veste i panni del neuroscienziato. E argomenta: «Quando navighiamo in internet, siamo in una diversa mentalità: più attiva, più diretta. Mentre quando ci sediamo davanti alla tv, vogliamo essere passivi, con il cervello spento». Allora qualsiasi telecomando, pure il più semplice, diventa complicatissimo da usare. Anche per il giornalista più esperto.