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Tecnologie Strategie

Google ripunta alla Cina: «È il cuore dello sviluppo di Internet»

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2010 alle ore 15:58.

La Cina sarà davanti a tutti nella corsa all'innovazione entro il 2020, superando in questa speciale classifica sia gli Stati Uniti che il Giappone. Si tratta di un'indagine e non di dati oggettivi ma la notizia, seppur di prospettiva, rimane pur sempre di un certo peso. Anche in considerazione del fatto che il grande Paese asiatico è già ora la seconda potenza economica del pianeta grazie alla sua poderosa macchina di produzione.

Il passo successivo, stando a questa visione, è quello di erigersi a riferimento assoluto anche in chiave innovazione e forse anche per questo una certa Google, che con il governo di Pechino ha avuto non pochi problemi nei mesi scorsi, è tornata a spendere parole accomodanti nei confronti della Cina. Il Paese che sarà il cuore dello sviluppo di Internet in virtù della più grande comunità di utenti della Rete dell'intero globo: questo il messaggio di "distensione" pronunciato nelle scorse ore (nel corso di un evento a Pechino) da Alan Eustace, senior vice president of engineering della compagnia americana. Google da queste parti ha ancora svariate attività di ricerca sebbene sia stata costretta solo pochi mesi fa a ridimensionare l'area di intervento dei propri servizi di search (le Web company attive in Cina devono attenersi a misure restrittive imposte dal governo centrale, che censurano per esempio i contenuti relativi ai fatti di Tiananmen del 1989 e alla questione tibetana). L'apertura di Eustace – "i servizi di ricerca sono solo un pezzo del nostro business" - fa lecitamente pensare che a Mountain View considerino talmente vitale il fatto di poter essere parte del processo di innovazione digitale del Paese che il guardare avanti sia una sorta di imperativo dovuto.

La storia recente del gigante del Web in Cina è stata costellata da bruschi cambi di programma: a marzo il servizio di search fu interrotto e gli utenti cinesi dirottati automaticamente a un sito con base a Hong Kong, a luglio Pechino concesse nuovamente a Google la licenza di operare dopo che questa inserì in evidenza sulla propria home page cinese l'opzione di poter utilizzare un servizio alternativo al suo. Ora i rapporti sembrano tornati più tranquilli ed ecco il passo in avanti verso una possibile nuova fase di cooperazione, mirata probabilmente a posizionare la società di Mountain View fra i possibili principali attori della rivoluzione Internet del Paese. A fine settembre, del resto, la quota di Google nei servizi di search era scesa al 24.6% (stando ai dati della società di analisi, con base a Shanghai, i iResearch), il livello più basso mai toccato dal quarto trimestre del 2007 in avanti. A spopolare fra gli internati cinesi, per quanto riguarda le attività di ricerca sul Web, c'è infatti il motore locale Baidu, forte della preferenza del 73% dei circa 420 milioni di utenti attivi on line (il dato, pubblicato dal filo-governativo China Internet Network Information Center risale a fine giugno scorso).

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La crescita del proprio business in Cina è quindi per Google un obiettivo più che mai vivo e tanto per non rovinare il lavoro diplomatico fatto negli ultimi mesi è arrivata anche una metaforica scrollata di spalle riguardo le rivelazioni contenuti nei file pubblicati da WikiLeaks, che attribuiscono al governo cinese responsabilità dirette per l'attacco informatico perpetrato ai danni della compagnia nordamericana. Non abbiamo informazioni di prima mano circa i cablogrammi resi pubblici da Assange: questo in buon sostanza il commento preferito dal top manager di Google Eppure fu anche l'azione degli hacker a imporre alla società di dirottare le proprie attività di search su Hong Kong. Ma questo, ormai, sembra essere un fatto che appartiene solo al passato.

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