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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2014 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2014 alle ore 12:24.

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Altri diritti specifici di internet sono attualizzazioni dei principi della privacy ai tempi di internet. Ci si oppone quindi alla sorveglianza di massa e indiscriminata, che è possibile solo per via della diffusione delle tecnologie digitali. Questo principio, oltre che nella Carta italiana, ricorre nel Marco civil (adottato dalla Camera dei deputati brasiliana) e nelle recenti raccomandazioni del Consiglio d'Europa. Ai nostri dati vengono così estese le tutele democratiche previste per il domicilio fisico.

Un punto innovativo della Dichiarazione italiana è quello dell'autodeterminazione informativa: il diritto a mantenere un pieno e costante controllo sui nostri dati personali online. Per trattarli, serve un nostro consenso esplicito e informato e possiamo negarlo in qualsiasi momento. L'idea di fondo è che ci siamo noi anche in quei dati e un loro abuso può avere gravi effetti sulla nostra dignità e libertà personale. Ne discendono altri principi, pure presenti nella bozza italiana: l'interoperabilità delle piattaforme web e il diritto al l'oblio. Il primo è un antidoto al rischio che servizi ormai diventati essenziali si trasformino in gabbia per gli utenti, ossia nuove forme di monopolio informativo. Il secondo è, com'è noto, la possibilità di rimuovere dai motori di ricerca i propri dati personali che non sono più rilevanti per il pubblico interesse.

Sono punti controversi, dove si contrappongono gli interessi dei colossi del web, che per altro seguono un diritto di privacy molto diverso da quello europeo. Non è un caso che già da quasi tre anni giaccia al Parlamento europeo la riforma della privacy (con il regolamento Data protection), dove sono contemplati alcuni di questi principi di «autodeterminazione informativa».

Ecco perché bisogna dare fondamenta sovranazionali ai diritti di internet (nel rispetto della sua natura universale): secondo la Dichiarazione italiana, solo grazie ad autorità nazionali e sovranazionali è possibile far rispettare i diritti dei cittadini sulla rete. Le autorità avrebbero anche il compito di valutare la conformità di ogni nuova legge con i diritti fondamentali di internet.

La sfida ora sarà passare dalle dichiarazioni di principio a leggi efficaci a livello nazionale e non solo. La bozza della Dichiarazione italiana resterà per quattro mesi in consultazione pubblica e poi potrà essere usata per ispirare proposte di legge in Italia e in Europa. Il contesto è propizio: Andrus Ansip, nuovo super commissario al Mercato unico digitale, questa settimana si è detto favorevole alla creazione di una carta dei diritti di internet, che potrebbe far parte della riforma dell'Agenda digitale europea, prevista per il 2015. «Finora tutte le dichiarazioni di principio, come quella italiana, non hanno avuto carattere vincolante. Le leggi hanno riguardato soltanto singoli aspetti di mercato, connessi a internet», dice Emilio De Capitani, funzionario del Parlamento europeo e membro della commissione che ha partorito la Dichiarazione. In Francia, Germania e Regno Unito ci sono consultazioni istituzionali per una carta di principi, ma bisognerà aspettare l'anno prossimo per i primi risultati. «In compenso, due sentenze della Corte di giustizia Ue, sulla conservazione dei dati e sul diritto all'oblio, sono arrivate come un campanello d'allarme: segnalano che c'è una grossa lacuna normativa, di diritti, da sanare». I modi e i tempi si sveleranno nei prossimi anni. Per adesso, anche grazie all'Italia, è stato posato il primo mattone.

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