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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2013 alle ore 18:10.
L'ultima modifica è del 10 novembre 2013 alle ore 16:20.

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Ernesto Fioretti ha una faccia scolpita, da statua antica, con lineamenti belli e imponenti, con occhi profondi e sorridenti e un sorriso di quelli che ti conquistano. Parla piano, quasi per sentenze, e si è visto catapultare al cinema, da "L'ultima ruota del carro", che ha aperto il Festival di Roma e che il 14 novembre sarà nei cinema. «Un giorno, come tutti facciamo almeno una volta nella vita, dissi a Giovanni Veronesi: se te racconto com'ho vissuto, ce fai un film. Io scherzavo, ma lui l'ha fatto». E per raccontarlo ha usato il migliore attore in circolazione, Elio Germano. Che in qualche gesto ancora lo "imita". L'ultima ruota del carro è un'opera speciale anche grazie a questi due uomini, semplici e allo stesso tempo unici.

Una vita da mediano quella di Ernesto Fioretti
Fioretti: è emozionante rivedersi sullo schermo, soprattutto nello scoprire come Elio si è calato dentro di me, persino nei miei gesti, quando l'ho visto muoversi in un certo modo ho davvero guardato me stesso e la mia vita. Lui mi ha voluto conoscere prima di accettare la parte, siamo stati un paio di volte a cena, ci siamo piaciuti subito.
Germano: è stato fantastico, Ernesto è stato sul set quasi tutti i giorni, sovraeccitato, anzi è divertente vederlo in questi giorni fare il lavoro mio, tra conferenze stampa e interviste, dopo che per tre mesi io ho fatto il suo! Fare un vivente – e vivo – è un grande privilegio, che poi sia sconosciuto è ancora meglio, perché nessuno può criticarti per come lo hai fatto!

Elio, Ernesto può servire a capire meglio l'Italia di oggi e degli ultimi 30 anni?
Certo, anche se questa è soprattutto una commedia che si instrada nella tradizione "all'italiana", con quei personaggi che hanno tutto dentro, quei soldati semplici che vedono la storia passare tra tentazioni e senso del dovere. Per una volta non parliamo di chi sale sui carri dei vincitori, ma di chi li spinge, di chi non può andarci su.
Potevamo far passare tanti temi in una vita così, dall'amore di coppia a un'amicizia forte pur nella diversità di due uomini rappresentativi delle due anime degli italiani. E magari anche far riflettere un po' su cosa siamo, ma nella massima spensieratezza. Perché questo film più che raccontare un paese, narra del valore e della forza delle scelte e delle rinunce.

Vi ha sorpreso Giovanni Veronesi con questo film?
Germano: Sì e no. Conoscevo la sua vena più "romantica", da Silenzio si nasce a Per amore solo per amore. E dieci anni fa abbiamo fatto insieme Che ne sarà di noi, un racconto poi non così lontano dallo spirito che sentiamo in questo lungometraggio. Tornare a lavorare con lui mi ha fatto felice, soprattutto perché il suo entusiasmo nel ripartire da un altro sguardo e un'altra direzione mi ha contagiato. Perché se è vero è che più recentemente la sua vena cinica è aumentata, forse il periodo storico l'ha riportato su altri binari.
Fioretti: Giovanni ha preso quello che gli ho raccontato e con la genialità che ha è riuscito a farlo diventare un film così. Sai? Quando persi il Gratta e Vinci da 500.000 euro di cui si parla in questa storia, mi arrabbiai, ma mi passò quasi subito, perché credo nel destino. E sono convinto che c'è un motivo per cui non ho vinto quei soldi. Forse il mio biglietto della lotteria è proprio L'ultima ruota del carro.

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