Se la famiglia non paga, il figlio digiuna. Un aut aut estremo, imposto da alcuni comuni ai genitori morosi che non saldano il conto con le rette di mense scolastiche, asili, scuolabus e altri servizi messi a disposizione dei cittadini. L'ultimo in ordine di tempo è stato il comune di Padova, che ha deciso che a partire dal 1° settembre 2010 non saranno ammessi alle mense scolastiche i bambini le cui famiglie non abbiano estinto il debito con l'amministrazione. Ma c'è chi alle minacce preferisce la riscossione forzata: a Torino, per esempio, per il 15% di famiglie non in regola, scatta l'invio di un'ingiunzione e poi (se necessario) l'emissione di ruolo coattivo affidato a Equitalia.
Ad Ancona, invece, i mancati pagamenti sono pari al 4,6 per cento. Per gli asili, il comune invia ai genitori in debito una lettera-ultimatum: 20 giorni di tempo per pagare la retta o il figlio sarà espulso. Per gli altri servizi, invece, si procede all'iscrizione a ruolo. «La morosità è una caratteristica comune a tutte le fasce sociali e non solo a coloro che presentano l'Isee, il documento che misura la situazione economica familiare», spiegano dal comune di Perugia, dove il fenomeno è in via d'estinzione per gli asili nido (0,01%) e più elevato le mense (6%).
Accanto ai furbetti che non pagano, comunque, ci sono anche quelli che dichiarano il falso per ottenere una tariffa più bassa. Tanto che un numero crescente di comuni si sta attrezzando per attuare controlli speciali. A Torino, ad esempio, un'équipe di quattro funzionari incrocia i dati provenienti da diverse banche dati (anagrafe comunale, Siatel-Banca dati dell'anagrafe tributaria, catasto e conservatoria nazionale e Inps).
In molte città, poi, l'amministrazione ha coinvolto la Guardia di finanza. A Bari il protocollo d'intesa è stato siglato nel 2007. A Perugia, invece, la convenzione con la Gdf è ancora in preparazione, mentre a Napoli ci si affida al sistema fai-da-te: «Vengono effettuati dei controlli a campione – spiegano da palazzo San Giacomo –, ma per alcune misure è stato necessario anche incrociare i dati del pubblico registro automobilistico e della Camera di commercio».
I risultati dei controlli variano molto (si veda l'articolo a fianco). Quel che è certo, comunque, è che le false dichiarazioni si distribuiscono tra diverse fasce di reddito, così come i mancati pagamenti: da Bologna a Potenza, da Milano a Torino, dove – solo per citare un esempio – il 26% delle notifiche per morosità riguarda le famiglie con tariffa minima e il 39% quelle con tariffa massima. Un fenomeno che ha spiegazioni sociologiche profonde, ma che certamente dipende anche dalla crisi economica.
Gli effetti della recessione, d'altra parte, li si legge anche negli Isee. Secondo l'Inps, nel 2009 sono state presentate 6,87 milioni di dichiarazioni, il 17% in più del 2008. Segno che il "riccometro" è sempre più usato dagli enti locali e dalle famiglie che chiedono sconti o esenzioni. Ma il dato veramente interessante è il reddito medio, passato dai 12mila euro del 2008 ad appena 10.035 euro per famiglia. Con un calo che è stato ancora più forte al Sud: nelle regioni meridionali, da cui proviene quasi il 60% degli Isee, non si arriva a 8.300 euro.
Altro problema legato alla crisi è la scarsa attualità degli Isee: l'autocertificazione, infatti, va redatta sulla base dell'ultima dichiarazione dei redditi e vale 12 mesi. Ad esempio, per i nidi, alcuni comuni prevedono che la domanda sia fatta entro il 30 giugno con l'Isee relativo ai redditi del 2009, mentre altri si limitano a chiedere un Isee valido (quindi anche elaborato sui redditi del 2008).
Ecco perché molti enti locali hanno introdotto dei correttivi per consentire alle famiglie di far valere il peggioramento delle condizioni occupazionali. A Torino, ad esempio, si può chiedere il ricalcolo dell'Isee in base alle nuove condizioni di reddito e di lavoro. Mentre in altre realtà, come Sant'Arcangelo di Romagna, il bando dell'anno scorso che assegnava un contributo alle famiglie in difficoltà prendeva a riferimento l'Isee calcolato sui redditi 2008, ma lo "correggeva": riduzione di reddito del 100% in caso di disoccupazione senza indennità; del 60% per la disoccupazione ordinaria; del 40% per la mobilità; del 25% per la Cig parziale. Piccole mosse, ma fondamentali, per salvaguardare l'attualità dell'indicatore.
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