Il primo obiettivo è riuscire a far digerire agli italiani la manovra che il governo si accinge a presentare. Il clima delle inchieste giudiziarie certo non aiuta. Per questo da giorni Silvio Berlusconi continua a ribadire inflessibilità contro chi ha sbagliato. Lo ha ripetuto anche a Bruno Vespa nel suo ultimo libro-intervista dal titolo «Nel segno del Cavaliere», di cui ieri sono state diffuse alcune anticipazioni che per alcune ore hanno scatenato dentro il Pdl un vero e proprio putiferio.

Tutta colpa di un «banalissimo equivoco», come spiegherà poi il premier costretto a intervenire due volte per risolverlo. A provocarlo la sua risposta a una domanda di Vespa sulla nuova tangentopoli con riferimento alle inchieste che vedono coinvolti anche l'ex ministro dell'Industria Claudio Scajola e il coordinatore del Pdl Denis Verdini: «Si tratta di casi personali e isolati che nulla hanno a che vedere con l'attività del governo e del partito», sono le parole del Cavaliere.

Sembra una presa di distanza netta rispetto ai due plenipotenziari del Pdl e, in particolare verso Verdini. La vicenda monta. Boatos di Palazzo raccontano di un Verdini in viaggio verso Firenze pronto a farsi da parte. Berlusconi decide così di intervenire. «Non ho mai pronunciato i nomi di Scajola e Verdini né altri nomi», dice il premier che spiega di essersi limitato a negare l'esistenza di una nuova tangentopoli. Ma non basta per riportare la pace. Vespa infatti conferma che Berlusconi di nomi non ne ha fatti, ma contemporaneamente ribadisce che la risposta del premier è arrivata su una domanda in cui «ho fatto riferimento tra l'altro alle inchieste su Scajola e Verdini». A quel punto Berlusconi fa uscire una seconda nota in cui esprime «la propria fiducia» al coordinatore del Pdl.

Il premier è preoccupato. Teme che l'inchiesta sulla «cricca» sia tutt'altro che finita, che nella rete dei magistrati possano finire altri nomi eccellenti. Ci tiene a far sapere – come riportato da Vespa – che il Pdl «non ha mai ricevuto finanziamenti illeciti», anzi semmai è stato il presidente del consiglio a intervenire sulle finanze del partito «con mezzi propri». Il premier parla di «isteria giustizialista», con riferimento alla pubblicazione della famigerata lista-Anemone («centinaia di nomi di clienti presentati come se fossero tutti colpevoli»), ma promette anche «nessuna indulgenza» verso i colpevoli. Nel frattempo però c'è da varare la manovra, rassicurare l'opinione pubblica (ieri in consiglio dei ministri ha fatto una generale reprimenda a quanti hanno diffuso «false notizie») e gestire la coabitazione Lega-Pdl, amplificata anche dalla rottura con Gianfranco Fini con cui ieri ha avuto un rapido vis-à-vis in occasione del funerale dei due alpini morti in Afghanistan. Un incontro dove non si è andati oltre le frasi di circostanza.

La distanza tra i due cofondatori resta. Fini accusa governo e Pdl di andare a rimorchio di Bossi. E mercoledì il Carroccio che fa? Festeggia il primo via libera al federalismo (quello demaniale) con il più acerrimo nemico, Antonio Di Pietro, e chiude qualunque spiraglio all'ipotesi di allargamento della maggioranza all'Udc di Pier Ferdinando Casini. La Lega si muove sempre più autonomamente. Arriva perfino a rispolverare la sua anima giustizialista e legalitaria, che in questo caso trova orecchie sensibili nei finiani pronti a mettersi di traverso sulle intercettazioni. «Non tollereremo coperture a qualunque livello», ha avvertito ieri il ministro dell'Interno Roberto Maroni che ha parlato, a proposito della «cricca», di un «sistema gelatinoso da spazzare via», lodando anche Roberto Saviano che (contrariamente a quanto aveva sostenuto Berlusconi) «ha fatto bene a scrivere Gomorra».

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