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Tremonti e il fisco: «Riforma entro il 2013 e autofinanziata»

di Fabrizio Forquet

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17 gennaio 2010

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C'e da aspettarsi in Italia un intervento analogo sulle banche?
La realtà delle banche italiane è stata ed è per fortuna diversa. E tuttavia il governo ha fatto la sua parte. Prima con la Robin Hood tax e con il taglio alle commissioni. Nel pieno della crisi, poi, il presidente Berlusconi ha rassicurato il paese: «Nessuno rischia i suoi risparmi perché nessuna banca sarà fatta fallire». Sulla base della fiducia, è stata così garantita la tenuta basica del sistema. L'"illuminato" autore della scritta estatica secondo cui il fallimento di una banca è «un bel giorno per il capitalismo» ha ignorato che la banca non svolge una comune attività capitalistica, ma un'attività che si esercita su beni pubblici fondamentali e per questo tutelati dalla Costituzione, come il risparmio e il credito. Simmetricamente abbiamo fatto quanto potevamo per tenere aperto il canale del credito alle imprese. Abbiamo messo in campo la Cassa Depositi e Prestiti e la Sace. Abbiamo proposto la "moratoria" sui debiti, uno strumento che si sta rivelando di grande efficacia. Stiamo costruendo un grande fondo d'investimento per le Pmi, uno strumento nel quale le banche italiane si uniscono per la prima volta insieme in una logica di sistema.

Le imprese continuano a registrare comunque una stretta creditizia.
Resta ancora aperta la grande questione del "territorio". Il Pil italiano è fatto al 95% da imprese con meno di 15 addetti distribuite sul territorio, ma le più grandi istituzioni bancarie negli ultimi anni sono state concentrate in una logica centrale e verticale. Questa tra la struttura "minima" dell'economia e l'architettura della "grande banca" è una asimmetria che la crisi ha dimostrato non positiva. Non è competenza dei governi disegnare l'architettura dell'industria bancaria. Abbiamo solo soft power. Va comunque registrata oggi come molto positiva la tendenza delle grandi banche a riformarsi adottando modelli "territoriali" nuovi, anzi vecchi, ritornando alle agenzie, ai direttori di agenzia, recuperando anche verso il basso l'arte antica di fare banca.

Come ha vissuto la vicenda dei Tremonti bond, con la rinuncia ad usufruirne da parte delle maggiori banche?
Per prima cosa, se proprio vuole parlarne, non li chiami bond ma equity, perché sono strumenti di patrimonializzazione e non di debito. Il disegno, poi, fino ai dettagli, non è italiano ma europeo, anche sul costo. È stato riconosciuto che lo strumento ha funzionato a 360 gradi per il solo fatto di essere disponibile. Quindi è stato utile. Infine molte banche lo hanno utilizzato. Solo due hanno detto di no e in questo modo hanno fatto una loro libera scelta. L'unico rilievo è che li hanno rifiutati nello stesso giorno e alla stessa ora...

Le banche sono state le protagoniste della crisi. Ma il 2009 è stato molto difficile per tutti, a cominciare dalle imprese e dalle famiglie. Il 2010 è atteso come l'anno dell'inizio di una lenta e faticosa uscita dalla crisi. E tra due mesi le elezioni regionali segneranno il passaggio alla seconda parte della legislatura. Cosa dobbiamo attenderci?
Mi sta chiedendo una mappa per orientarci nel nostro futuro? Una sorta di cartografia politica?

Mettiamola così.
Allora proviamo a farla insieme. Dall'8 maggio 2008, giorno del giuramento, è quasi un biennio di governo. Personalmente e politicamente è stato per me, per noi, per tutti ben più di un biennio. Sono stati due anni che hanno marcato profondamente il corso del tempo che viviamo. Le posso assicurare che le conference call tenute all'alba o in piena notte – per far collimare i fusi orari – sono un'esperienza che non dimentichi facilmente. Ma localizziamoci sulla mappa politica italiana oggi. A marzo come lei ricordava, c'è una vasta tornata elettorale. È un test politico importante, una sorta di elezioni di medio termine, più o meno un referendum sul governo. Ma poi basta: si apre un periodo di quasi tre anni di tregua elettorale. Un tempo politicamente lunghissimo, il tempo delle riforme.

È il tempo lungo su cui lei ha impostato quella che ha definito la grande riforma tributaria.
Per me, e non solo per me, quella fiscale è la «riforma delle riforme». Nella storia e in tutto il mondo il rapporto fiscale è infatti il rapporto politicamente ed economicamente fondamentale. Per decenni e decenni in Italia questo rapporto è stato distorto dalla "democrazia del deficit". Dall'idea che la spesa pubblica non dovesse e potesse essere finanziata nel tempo presente con le tasse, ma con un crescente "future" fiscale. Una cambiale girata alle generazioni future. Noi siamo oggi la generazione futura. A partire dagli anni 70 il debito pubblico è diventato la dominante non solo economica ma politica del nostro paese. Prima come opportunità di vita facile e oggi come difficoltà di tenuta. Lei sta scrivendo sulla scrivania di Quintino Sella e Sella diceva che il bilancio pubblico contiene le virtù e i vizi di un paese!

Lei evidenzia il debito come dominante della nostra storia recente, ma le mappe devono servire per il futuro.
  CONTINUA ...»

17 gennaio 2010
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