«Con quante donne sei stato Nick ? 'Non ne ho idea' avrebbe dovuto essere la risposta. Che uomo, e intendo dire uomo, sa il numero ? E se anche lo conoscesse, non dovrebbe mai ammetterlo». Nick, invece lo ha confessato: trenta fanciulle. E Claudia Winkleman, celebre commentatrice di costume e frivolezze varie, lo ha bocciato come gentleman e come aspirante primo ministro.

Nick, è Nick Clegg, 43 anni leader dei Liberaldemocratici, l'eterna terza forza della politica britannica che i sondaggi dicono sia destinato a un futuro radioso dopo le probabili elezioni del 6 maggio, quando dipenderà dal manipolo di deputati giallo canarino – è il colore del partito – reggere le sorti di un paese spaccato a metà come i Comuni. Toccherà a un libertino piccolo piccolo – trenta non sono trecento, è stato fatto notare - unirsi in una lassa coalizione con chi, Tory o Labour, avrà la maggioranza relativa ? Due anni dopo, Nick Clegg, ago dell'incertissima bilancia politica britannica continua a non perdonarsi quel discettare in libertà con Piers Morgan, ex direttore di News of The World, monumento della stampa trash britannica.
L'intervista era per GQ e, forse per questo, s'era concesso qualche battuta oltre le righe. Oggi, sotto la zazzera bionda, l'occhio ceruleo e quel modo tanto educato scolpito fra i banchi di Westminster School, liceo upper-upper class, e uso ai nobili lombi di una nonna dell'alta aristocrazia russa, si legge ancora l'aria sbarazzina che fu. La bocca però è sigillata, Nick, dice di non volerci cascare più. Nell'Inghilterra di John Terry, in quell'Inghilterra anglicana e bigotta, sorprendentemente capace di stupirsi di tutto quanto riguarda corna & politica con lo stesso entusiasmo che segnò la caduta di John Profumo negli anni Sessanta, il leader LibDem, preferisce trincerarsi dietro la più assoluta fedeltà. A Miriam, spagnola, avvocato di diritto internazionale moglie e madre dei suoi tre figli. Come dire: le altre ventinove sono tutte arrivate prima e per evitare guai ha stretto con il coetaneo e avversario David Cameron, leader Tory, un patto di ferro: di quello che è stata la nostra vita prima della politica non parliamo. Saracinesca su spinelli e ubriacature giovanili se non per quella sbronza che a Monaco, sedicenne, lo fece finire in stato di fermo.

Bagatelle per un politico in calzoni corti. Perché, che alla politica fosse destinato, lo avevano intuito tutti tranne lui, affaccendato com'era a scrivere articoli nella breve stagione da giornalista dopo gli studi di antropologia a Cambridge. Il primo scout fu il commissario europeo Leon Brittan che lo volle nella sua squadra di negoziatori sui round del commercio internazionale. Gli piacque tanto da proporgli un posto nel partito conservatore. Dei Tory, Nick, non è mai stato un fans, lo stimolava invece la terza forza inglese, la più europeista fra quelle di Westminster. E all'Europa, Nick Clegg, crede tanto che la sua carriera è cominciata prima a Strasburgo che ai Comuni. Guida il partito da due anni, ma due anni fa o anche solo due mesi fa, non avrebbe mai immaginato di trovarsi nella posizione di oggi.
Londra guarda a lui e gli domanda da che parte starà. Con il Labour o con i Tory ? Nick Clegg risponde sempre così. «Mi domandate di scegliere fra disperazione e sdegno». Condizioni che gli fanno preferire i laburisti dei quali i LibDem sono una costola, staccata nei primi anni Ottanta da Roy Jenkins e David Owen. Nick Clegg non aveva ancora la barba in quegli anni e la sua formazione è affrancata dal ricordo della scissione. Lui si chiama liberale e si dice liberale. Apertissimo ai diritti delle minoranze a cominciare dai gay che promettono di votare in massa per il vessillo giallo. E si riconosce ambizioso a tal punto da dire. "Il mio obiettivo è diventare primo ministro".
Il 6 maggio non lo diventerà, ma contribuirà a decidere chi sarà l'ospite di Downing street. I sondaggi – vedi altro articolo – danno i due maggiori partiti a un'incollatura l'uno dall'altro e Clegg sta già preparandosi a negoziare. Con due obiettivi: il bene del paese e quello del partito. Dice di voler cominciare dal primo. E quindi promette il suo sostegno con un giro di parole. «La stabilità è importante. Gli elettori non vogliono continuare ad andare a votare». Tradotto: non porteremo il paese a una seconda elezione nel volgere di qualche mese. Perché ? «I cittadini – ha ribadito quando la sterlina precipitava sotto 1,50 contro il dollaro per il timore di incertezza politica – si attendono un'azione di governo efficace in giorni di crisi tanto acuta». Poi ha esplicitamente ammesso la sua disponibilità a scendere a patti con entrambi se troverà intese sulla politica di bilancio che nel menù LibDem prevede tagli per 14 miliardi di sterline attraverso il congelamento degli stipendi pubblici, abbandono del programma nucleare Trident, ristrutturazione della sanità. Sono gli unici ad ammettere, pubblicamente, prima del voto, quello che gli altri dovranno fare, dopo il voto.

L'intesa è dunque alle porte ? Affatto. Clegg ha trattato per contro della Commissione sui tavoli di mezzo mondo ed è aduso ad un approccio mondano nella gestione della cosa pubblica e di quella privata, ovvero l'interesse del partito. L'accordo, quindi, passerà per quello che i LibDem chiedono da anni: la riforma elettorale in chiave proporzionale. S'accontenterebbero del cosiddetto alternative voting all'australiana che corregge il maggioritario puro inglese. Non troppo, ma abbastanza, spera Nick, per interrompere la legge del pendolo che scandisce, in un rigido duopolio, la vita politica britannica. Ci riuscirà ? Gordon Brown glielo ha già promesso programmando un referendum sul meccanismo di voto prossimo venturo. Ma se trionferà, anche Claudia Winkleman dovrà ricredersi: poco gentiluomo, quel Nick, ma un politico di razza pura.

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