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Franklin D. Roosevelt, un maestro per tutte le emergenze

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2010 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 28 agosto 2010 alle ore 09:15.

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La centralità della figura di Franklin D. Roosevelt nel panorama della storia politica del secolo scorso spiega, in parte, le controversie che circondano il suo nome. In campo economico, Roosevelt ha forgiato il sistema di sicurezza sociale americano, ha legittimato il ruolo istituzionale dei sindacati, ha introdotto una severa regolamentazione dell'attività bancaria e della finanza, ha combattuto la concorrenza, ha allargato la presenza dello stato nell'economia (sia per contrastare la disoccupazione che per dare impulso alle infrastrutture) e ha promosso le svalutazioni competitive.

Queste azioni spiegano perché la sinistra esalti il periodo rooseveltiano come un periodo d'oro della politica americana e perché la destra lo consideri in termini critici. In realtà, Roosevelt ha promosso un misto di buone e cattive politiche economiche. Molte di esse devono essere poste "nel contesto" della situazione di allora: la profondità della depressione economica e l'assenza di strumenti assicurativi contro i rischi di povertà e disoccupazione. Per stessa ammissione degli estimatori del presidente americano, molte politiche adottate allora avevano un carattere di emergenza o sperimentale. L'introduzione di un sistema relativamente esteso di protezione sociale, i sussidi di disoccupazione, la limitazione del monte ore settimanali, l'assicurazione sui depositi e la Sec sono azioni che hanno anticipato una tendenza che avrebbe coinvolto tutte le grandi democrazie occidentali. Ancora oggi queste politiche costituiscono un patrimonio fondamentale del nostro sistema sociale.

In sostanza, Roosevelt ha affermato con forza il principio secondo cui lo stato deve avere un ruolo nell'economia: per correggere le inefficienze del mercato, contenere la volatilità del ciclo economico e integrare i meccanismi di assicurazione generati dal mercato.

D'altra parte, il National Recovery Act ha, in diversi modi, incoraggiato la formazione di cartelli, la diffusione di pratiche anticompetitive e l'aumento dei prezzi. Molti economisti sostengono oggi che questi elementi, insieme alle misure che hanno rafforzato il potere contrattuale dei lavoratori, sono responsabili del prolungamento della Grande depressione. In effetti, se è vero che nel 1937 l'economia americana riguadagna le posizioni perse nel 1929, è anche vero che la disoccupazione rimane eccezionalmente elevata e che, dal 1937 fino allo scoppio della guerra, l'economia conosce una seconda recessione. I tentativi dell'amministrazione Roosevelt di combattere la deflazione con misure anti-competitive appaiono oggi velleitari e controproducenti.

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L'esperienza dell'ultimo squarcio del secolo scorso ci ha insegnato che esistono politiche più efficaci (di natura monetaria e fiscale) per contenere i guasti della deflazione. Ma, anche sulla base della recente crisi del 2008 e del "decennio mancato" giapponese, non possiamo neanche dire che queste nuove politiche siano infallibili.
Arriviamo allora alla domanda naturale che dovrebbe porsi chi voglia fare un bilancio della figura di Roosevelt. Perché questo personaggio politico è stato così importante? Possiamo trarre insegnamenti utili per il presente dalla sua azione?

Riguardo l'importanza di Roosevelt per la storia economica e politica del dopoguerra, non ci sono dubbi. Basta ricordare l'eredità che ci ha lasciato in termini di politiche sociali. Ma questa osservazione è riduttiva. Come ha recentemente osservato un suo biografo, Conrad Black, Roosevelt ha «salvato» la democrazia liberale contro la tentazione di un'uscita «autoritaria» dalla Grande depressione. In un libro recente (Le conseguenze morali della crescita economica, Knopf, 2005), l'economista Benjamin Friedman sostiene con forza la tesi secondo cui la crescita economica genera tolleranza, democrazia e apertura. In altre parole, la crescita economica non è buona solo perché aumenta la ricchezza, ma anche perché essa migliora l'uomo e lo rende eticamente responsabile. D'altra parte, è anche vero l'opposto: le recessioni impoveriscono i nostri sentimenti morali, legittimano l'autoritarismo e la violazione dei diritti di libertà, tra cui il diritto di competere e di fare libera impresa.

Tra il 1929 e la fine della Seconda guerra mondiale, l'Europa conosce uno dei periodi più bui della sua storia, con la nascita del nazismo, del fascismo e del comunismo sovietico. A Roosevelt dobbiamo la sopravvivenza del sistema sociale che ha prevalso nel mondo di oggi: un sistema in cui l'economia di mercato e la libertà di impresa convivono con un esteso sistema di regole e di protezione sociale. Questo sistema è spesso troppo rigido, è aumentato oltre il dovuto, o non si è aggiornato a fronte dei cambiamenti economici e sociali degli ultimi anni. Ma il connubio tra regole, protezione sociale e libero mercato è destinato a rimanere tra noi. Questa è, forse, l'eredità più importante di Roosevelt.

Franklin D. Roosevelt è il prototipo dell'uomo politico che cerca di risolvere i problemi del suo paese adottando scelte coraggiose e non temendo di sfidare le lobby e il potere delle grandi imprese e della finanza. I suoi critici potrebbero ribattere che, in questo modo, egli abbia ceduto troppo al populismo e all'improvvisazione, determinando un eccesso di regolamentazione. Secondo me, questa critica risente troppo dell'esperienza della seconda metà del secolo scorso. Oggi lo stato occupa una posizione di preminenza nella vita economica e i politici sono molto condizionati dai rappresentanti di interessi sociali diffusi: il sindacato, i dipendenti pubblici, gli agricoltori, i piccoli commercianti eccetera. La conseguenza è che spesso si perde di vista il benessere comune, anche nei casi in cui esso può essere facilmente individuato. Molti di coloro che erano esclusi e deprivati negli anni 30 sono oggi ben rappresentati e protetti.

Ma il populismo non è l'unico pericolo da cui dobbiamo proteggerci. L'esperienza dell'ultimo decennio ci dice che possiamo correre molti rischi anche a causa di un'eccessiva cautela o timidezza dei politici nei confronti delle lobby che perseguono un interesse di altro genere: quello di agire incontrastati approfittando di un relativo potere di mercato, di un'assenza di regolamentazione e di una mancanza di trasparenza. Il coraggio di andare contro questi interessi è stato una delle qualità principali di Roosevelt ed è mancato ai presidenti americani che si sono succeduti negli ultimi decenni, oltre che ai politici europei.

LA VITA
Franklin Delano Roosevelt nasce nel 1882 ad Hyde Park, New York. I suoi genitori fanno parte dell'aristocrazia e sono imparentati con il 26° presidente Usa, il repubblicano Theodore Roosevelt. Franklin frequenta l'università di Harvard e la Columbia Law School, dove si laurea nel 1908. Nel 1905 aveva sposato Eleanor, sua cugina alla lontana, da cui ha sei figli. Muore nel 1945 per un'emorragia cerebrale mentre è in vacanza a Warm Springs, in Georgia.

LA CARRIERA POLITICA
Sull'esempio di Theodore, per il quale aveva una profonda ammirazione, Franklin intraprende la carriera politica, ma come democratico. Vince le elezioni per il Senato di New York nel 1910. L'allora presidente Wilson gli affida l'incarico di assistente segretario della Marina, e nel 1920 è candidato alla vicepresidenza. Nell'estate 1921, quando ha 39 anni, contrae la poliomielite. la malattia lo costringe a usare la sedia a rotelle, ma Roosevelt si sforza di nascondere la sua disabilità (si conoscono solo due sue fotografie sulla sedia a rotelle). Nel 1928 diventa governatore di New York.

I PRIME TRE MANDATI
Roosevelt diventa per la prima volta presidente degli Stati Uniti, il 32°, nel novembre 1932. Si insedia il 4 marzo 1933. Allora si contavano 13 milioni di disoccupati e quasi tutte le banche erano ormai chiuse. Nei suoi primi "cento giorni" fa approvare dal Congresso una serie di provvedimenti per incentivare la ripresa del commercio, dell'agricoltura e quindi dell'occupazione. Ma nel 1935, businessmen e bankers contestano il New Deal di Roosevelt, specie perché contrari all'uscita dell'America dal cosiddetto "gold standard". Roosevelt risponde con una nuova ondata di riforme: più sicurezza sociale, maggiori tasse sui redditi più alti, controlli su banche ed enti pubblici. E importanti provvedimenti contro la disoccupazione. Nel 1936 viene rieletto presidente con una vittoria schiacciante nonostante la Corte Suprema abbia dichiarato incostituzionali diversi provvedimenti del New Deal. Ma non basta, Roosevelt si presenta candidato anche per un terzo mandato consecutivo nel 1940. E sarà l'unico presidente a godere di questa possibilità perché nel 1951 una legge la negherà.

LA GUERRA
Quando nel 1941 i giapponesi attaccano Pearl Harbor è inevitabile il coinvolgimento degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale. Nel 1943 Roosevelt è il primo presidente americano a viaggiare su un aereo durante il periodo di carica. Va infatti in Marocco per incontrarsi con il primo ministro del Regno Unito, Winston Churchill, per discutere del conflitto. Tra il 4 e l'11 febbraio 1945 Roosevelt partecipa con Stalin e Churchill alla conferenza di Yalta, l'incontro in cui si decide del futuro assetto politico internazionale alla fine della guerra.

IL QUARTO MANDATO
Nonostante l'aggravarsi della malattia che gli sta minando il fisico, Roosevelt è il candidato democratico per la presidenza degli Stati Uniti nelle elezioni del 1944. In coppia con Henry Truman come vicepresidente, il 7 novembre Franklin vince, sconfiggendo lo sfidante, il repubblicano Thomas E. Dewey. Muore il 12 marzo 1945.

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