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Sì di Fini a un patto sul lavoro. Il programma economico di Mirabello

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2010 alle ore 08:03.

«Possibile che nei cinque punti non ci sia nulla per fare ripartire l'economia e renderla competitiva? C'è un'Italia preoccupata. E Berlusconi ha ragione quando parla di ottimismo ma non può essere ottimismo solo verbale, deve diventare azione concreta». Sui temi dell'economia, il contrappunto politico di Gianfranco Fini nei suoi 81 minuti di intervento a Mirabello è stato incalzante sin dall'esordio: in buona sostanza, il suo refrain potrebbe riassumersi con un "più stato e più mercato", equamente distante da Keynes e da Von Hayek .

La prima puntualizzazione, infatti, ha riguardato la logica dei "tagli lineari" di spesa realizzati con la manovra di finanza pubblica: il cofondatore del Pdl ha detto che il governo, che pure ha operato correttamente contro la crisi finanziaria, forse avrebbe potuto modulare diversamente quei tagli ed evitare di trovarsi di fronte a due clamorose proteste: quella della polizia e quella degli insegnanti precari. «Credo che meriti rispetto ogni dirigente, ogni cittadino colpito da quei tagli che non andavano fatti e penso anche ai tagli ai fondi della scuola causa della protesta dei precari che ancora non sanno se fra qualche giorno avranno la cattedra» ha detto Fini.

Il secondo distinguo ha interessato le modalità d'attuazione del federalismo: «Il Mezzogiorno ha tutto da guadagnare - ha spiegato – da una riforma in senso federalistico, nella quale è indispensabile valutare i costi standard nelle regioni, perché nessuno può obiettare il fatto che i costi in Emilia Romagna non sono la stessa cosa di quelli in Calabria. Nessuno difende la spesa storica – ha sottolineato il presidente della Camera – quella in base alla quale le loro amministrazioni si vedevano pagare le loro spese a piè di lista. Ma la definizione dei parametri di spesa non può non essere discussa, come si deve discutere dei tempi del federalismo o di cosa voglia dire fondo perequativo». Ma è soprattutto la preoccupazione di far ripartire in modo durevole e sostenuto il motore della crescita economica quella che attraversa tutto il cosiddetto "manifesto politico di Mirabello": «Gli italiani nel Nord come nel Sud sono preoccupati per le condizioni economiche e sociali, ha detto Fini, sono preoccupati per il lavoro. Non è propaganda, né demagogia, né rifare il verso all'opposizione: sono i problemi delle famiglie». Dunque, una volta fermata la crisi, adesso la priorità è far ripartire l'economia italiana. Di qui il richiamo a «un nuovo patto sociale tra capitale e lavoro» per mettere tutti i produttori di ricchezza dalla stessa parte della barricata: il presidente della Camera evoca infatti una riforma del mondo del lavoro e «una politica che comprenda le esigenze del nostro mondo produttivo. I piccoli imprenditori lo sanno meglio di tutti: è importante ricordare che il tessuto produttivo italiano è diverso da altri paesi, si basa sulle piccole imprese. Si tagli il superfluo - esorta Fini – non si lesini in infrastrutture, in ricerca, in produzione di eccellenza, di avanguardia». Infine, Fini ha sottolineato l'urgenza di riforme che diano risposte alla questione giovanile (tra i giovani c'è un disoccupato su quattro - ha ricordato – e serve un "patto generazionale"), che offrano un sostegno alle famiglie, che dettaglino proposte concrete sul versante fiscale per alleggerirne il carico, a cominciare dagli interventi sul cosiddetto quoziente familiare.

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Parole non troppo diverse, nell'impostazione di fondo, da quelle che ieri sono apparse sul sito della fondazione Italiafutura guidata da Luca di Montezemolo, a firma dell'economista Marco Simoni: - «Ha ragione da vendere il ministro Tremonti quando dice che l'Italia ha bisogno di prospettiva, di visione e - più concretamente - di riforme economiche che abbiano un orizzonte temporale almeno decennale», scrive Simoni, che aggiunge: «Viene in mente che se l'avesse pensato dieci anni fa, oggi il paese sarebbe in condizioni diverse». Tremonti «ha meno ragione, forse – afferma ancora Simoni - quando sostiene (rispondendo al governatore di Bankitalia Mario Draghi) che sia infantile pensare di dover fare come la Germania, sempre che non si riferisse all'ingenuità e anche al candore dei bambini, che dicono cose semplici e vere, nel qual caso siamo d'accordo una seconda volta».
L'analisi sottolinea il nodo di «dieci anni passati senza riforme» in più passaggi: «È evidente che gli attuali, drammatici, problemi economici che vivono gli italiani, con un carico maggiore sulle generazioni più giovani, possono essere attribuiti solo in parte agli squilibri prodotti dalla internazionalizzazione dei mercati, e molto invece alle mancate riforme economiche, fiscali e del lavoro, degli ultimi dieci anni. Dieci anni passati senza riforme, che avrebbero anche attrezzato il paese a reggere meglio la recente crisi globale. Dieci anni di cui sette – conclude l'esperto di Italiafutura – nei quali le leggi finanziarie e le manovre economiche hanno portato la firma di Giulio Tremonti»

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