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Questo articolo è stato pubblicato il 10 novembre 2010 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 10 novembre 2010 alle ore 06:39.
Gli elenchi letti da Saviano e Fazio e dai loro ospiti
Vieni via con me è stato il programma più visto di Raitre degli ultimi dieci anni. D'accordo, c'era la curiosità per la prima. Com'è naturale, ci sono stati attimi di noia, ma alzi la mano chi non ha mai sbadigliato a teatro per poi sbellicarsi di applausi sul finale. Del resto, lo dicono loro: «Vado via perché preferisco i paesi dove ci si può annoiare».
E il finale, quel balletto su una versione sempre più veloce della canzone di Paolo Conte che dà il titolo al programma, quel balletto inquietante e frenetico stile Blade Runner o l'epilogo di Strange Days, con i volti dei grandi italiani sui pannelli dello sfondo, e quei ballerini strepitosi ma vestiti trasandati e danzanti su macerie, ballerini che sanno muovere a ritmo perfino gli addominali e le guance. Beh, quel balletto è stato uno dei momenti più belli della tv degli ultimi anni. Da rivedere su internet, sul sito della Rai si può. E già che ci siete, è da rivedere pure il botta e risposta tra Roberto Saviano e Fabio Fazio: in stile gaberiano, i due protagonisti sono riusciti a tenere assieme le luci e le ombre dell'Italia, il sacro e il faceto, compilando l'elenco, come fosse la sintesi a mo' di morale dello show, da Cassano ai carboidrati, passando per la criminalità organizzata, i bimbi rom, le case ad Antigua e quella crollata di Pompei, fino al «vado via perché dobbiamo sgomberare il palco per il finale», come farebbe il narratore in un'opera lirica o in una commedia latina.
A qualcuno può piacere di più il Saviano che risponde alle domande piuttosto che quello dei monologhi, ma che il talento dell'autore di Gomorra sbanchi è un dato di fatto e che sia garanzia di libertà d'espressione è una constatazione dolce e amara. Dolce perché dà speranza. Amara perché il talento se uno non ce l'ha non se lo può dare. Quel che a molti dà fastidio di Saviano è precisamente questo: il talento, il successo in libreria, gli ascolti record da condividere con l'erede di Enzo Tortora in materia di conduzione garbata, cioè Fazio. È un talento al servizio del racconto di ciò che non va giù di questa Italia che «vado via perché non se ne può più».
Saviano sa raccontare quelle cose, il romanzo criminale di mafie e culture mafiose, con lo stesso modo di muovere le mani, con quei gesti da timido che si accarezza la testa o con le due dita che strofinano la punta del naso, anche a un gruppo di persone incontrate per caso. È capitato qui al Sole 24 Ore. Anche se vive blindato e in pericolo, si prende il suo tempo per raccontare, quel giorno in redazione restò ore a parlare. Se i tempi non sono sempre televisivi non importa: è l'espressione massima del racconto letterario ma d'impegno civile che non accetta furbizie. È l'impegno del maestro Leonardo Sciascia. Come ha ricordato di recente lo scrittore Vincenzo Consolo, Sciascia, da liberale e radicale, aveva criticato il fatto che il Csm, per promuovere Paolo Borsellino, non avesse rispettato la forma della legge, che allora prevedeva l'anzianità prima del merito. In un paese come l'Italia e in una zona come la (sua) Sicilia, Sciascia chiedeva prima di tutto il rispetto delle regole per tutti, il rispetto dello stato di diritto. Giusta invece la critica a chi, come l'avvocato Alfredo Galasso, aveva attaccato Giovanni Falcone con il più trito degli argomenti delegittimanti: ma come? proprio tu sei passato dall'altra parte? Che poi era la parte dello stato.