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Al Quirinale il primo passo nella gestione di una crisi lacerante. Elezioni più vicine

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2010 alle ore 08:35.

Al vertice di maggioranza non passa la linea di Bossi (di Celestina Dominelli)

Due eventi diversi ma simmetrici danno l'idea di come le cose stiano cambiando in fretta nella politica italiana. Roma. Come previsto, esce dal governo la delegazione del partito di Fini (e il rappresentante autonomista siciliano).La crisi era già in atto, ma ora è ancora più esplicita. Manca però la soluzione, a meno di non riconoscere che la prospettiva di elezioni anticipate è sempre più probabile. In ogni caso la ferita al Pdl, il partito berlusconiano di maggioranza relativa, è bruciante.

Milano. Anche il Pd di Bersani subisce un colpo brutale, sconfitto da Giuliano Pisapia, il candidato di Vendola, nelle primarie per designare il candidato sindaco della città. Enrico Letta e altri dicono che «adesso occorre riflettere seriamente». Si rimette in discussione il principio stesso delle primarie.

Il Pd sembra scivolare a sinistra, abbandonando un grande spazio al centro. Condizione ideale per il «terzo polo» di Fini-Casini-Rutelli, ma ci vorrebbe una diversa legge elettorale. Quella attuale serve a fotografare (male) un bipolarismo in disfacimento. Tuttavia chi la vuole cambiare (dal «terzo polo» al Pd a Di Pietro) non sembra avere la forza per farlo, a meno di non ottenere il clamoroso sostegno della Lega. In tal caso, però, dovremmo ragionare su un altro scenario: un governo d'«emergenza» o di unità nazionale. «Una larga coalizione per voltare pagina» come afferma D'Alema. Allo stato delle cose, e in assenza di fatti nuovi, un progetto del tutto irrealistico. Un progetto che potrà assumere contorni più concreti dopo il voto, se i due rami del Parlamento fossero allora - come qualcuno prevede - in sostanziale equilibrio.

Oggi bisogna stare ai dati di fatto. Che sono soprattutto due. Primo, il Carroccio conferma la sua lealtà al premier. Si capisce che Bossi vorrebbe seguire un'altra strada, non gradisce certi toni oltranzisti verso i finiani. Il vecchio leader si preoccupa del destino del federalismo e non è affatto ostile a percorrere la via di un nuovo governo Berlusconi (dimissioni e reincarico): un esecutivo aperto a Fini e forse persino a Casini. Al momento la Lega tiene soprattutto a marcare la propria autonomia, l'orgogliosa identità padana. Come dice Bossi, «noi voliamo alto, Berlusconi preferisce volare basso». E' già un messaggio elettorale, nel quadro di un'alleanza competitiva.

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Secondo punto, il profilo istituzionale degli eventi in corso. Mai come ora il tema è della massima importanza. Giorgio Napolitano teme una guerra di tutti contro tutti e intende esercitare fino in fondo le sue prerogative. La convocazione al Quirinale dei due presidenti di Camera e Senato è in effetti il primo passo nella gestione della crisi.

C'è da approvare prima la «legge di stabilità», come è noto. E nonostante il senso di responsabilità generale, nemmeno questo passaggio sarà esente da tensioni. Gli oppositori di Berlusconi temono che al Senato la maggioranza voglia attuare una tattica dilatoria con l'obiettivo di guadagnare tempo. Sullo sfondo c'è la questione irrisolta di quale delle due Camere dovrà votare per prima la mozione di sfiducia. Ecco un terreno su cui nemmeno il Quirinale può avventurarsi, se non consigliando la via del buonsenso. Ma non c'è una regola vincolante, soprattutto se non si vuole esercitare il «fair play». Ed è difficile che Berlusconi, prima di consegnarsi alle forche caudine di Montecitorio, rinunci a cogliere un successo a Palazzo Madama, avendone la possibilità.

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