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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2010 alle ore 08:35.
L'ultima modifica è del 17 novembre 2010 alle ore 08:52.
Vennero, videro, persero. È la reazione di fronte alle discussioni sul riequilibrio globale al vertice del G-20 della settimana scorsa a Seul. Pubblicamente, i paesi in surplus insistono nell'appello a quelli in deficit per risanare l'economia grazie alla deflazione. Le conseguenze di questa follia sono oggi evidenti nell'eurozona. A livello mondiale, gli Usa non l'accetteranno mai. Tuttavia, guardando in profondità, potrebbe emergere qualcosa di più produttivo.
Questa prospettiva più ottimistica si può dedurre dalla dichiarazione del G-20: «Il persistere di gravi squilibri, valutati rispetto a linee guida indicative da concordarsi tra i ministri dell'economia e i governatori delle banche centrali, autorizzerebbe un accertamento della loro natura e delle cause all'origine degli ostacoli all'aggiustamento. Queste linee guida, composte da una serie di indicatori, fornirebbero un meccanismo che faciliterebbe la tempestiva identificazione di gravi squilibri che richiedano misure preventive e correttive». Brutto, ma sensato. Insieme ai discorsi sulla necessità che i paesi eccedentari si basino di più sulla domanda domestica, che vi sia un maggior controllo da parte dell'Fmi e sui tassi di cambio, potrebbe emergere un mandato un po' più forte.
In pubblico, naturalmente, il dibattito si è concentrato sulle nefandezze della politica di espansione quantitativa della Federal Reserve, con la Cina e la Germania pronte a esprimere la propria condanna. Il fulcro della condanna cinese sta nel fatto che gli Stati Uniti starebbero esportando i propri guai indebolendo deliberatamente la propria valuta. Saltano agli occhi tre obiezioni: in primo luogo è falsa; in secondo luogo un aggiustamento del tasso di cambio è necessario; infine, è una perfetta descrizione di quella che in realtà è la politica del cambio cinese.
La Federal Reserve non sta acquistando valuta estera, ma obbligazioni nazionali. Lo fa per sostenere l'economia domestica attraverso la riduzione della leva finanziaria. Certo, questa politica tende a determinare, a parità di altri fattori, anche un abbassamento del valore esterno della moneta. Ma è un effetto desiderabile. Lo scenario economico statunitense è un esempio classico di squilibri interni ed esterni - alta disoccupazione e un deficit delle partite correnti strutturale. L'economia classica sostiene che il deprezzamento del tasso di cambio reale è la riposta giusta. E un deprezzamento del tasso di cambio nominale è il modo meno doloroso per conseguire questo risultato.