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Crollano le banche irlandesi, forti tensioni sull'euro. Salvare Dublino non può salvare tutti

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2010 alle ore 08:33.
L'ultima modifica è del 23 novembre 2010 alle ore 07:36.

Crollano le banche irlandesi. Borsa di Dublino in forte calo
Primo: evitare il contagio (di Edward Munchau)
La crisi irlandese diventa politica. Nuovi timori portoghesi (di Vittorio Carlini)

Rimangono forti tensioni sull'euro. Come testimonia l'intervento di oggi del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble. «È la nostra moneta comune in gioco», afferma Schauble all'inizio della discussione del bilancio nel Bundestag tedesco e aggiunge: «Dobbiamo assumercene la responsabilità». «La scelta dell'Irlanda di ricorrere all'aiuto della Ue e del Fmi dimostra che la crisi finanziaria ed economica è duratura e dobbiamo concentrare tutti nostri sforzi per controllarla
»

Il piano di salvataggio dell'Irlanda non ha riservato sorprese:
circa 90 miliardi, spartiti tra banche e governo. Ma è solo l'inizio del processo; nelle prossime settimane si dovrà definire l'ammontare esatto, la quota a carico delle varie istituzioni, e soprattutto le condizioni. Contrariamente a quanto si creda, la strada non è tutta in discesa: il contributo più sostanzioso, quello dell'European Financial Stability Facility (Efsf) va approvato all'unanimità, e non sarà facile per 16 paesi mettersi d'accordo su che condizioni imporre al governo irlandese.

Ma anche una volta definiti i dettagli, rimarranno due interrogativi. Come già è successo con la Grecia risolvere temporaneamente i problemi di un paese può addirittura aggravare la posizione di altri paesi, come ha mostrato la reazione dei mercati di ieri. Non è solo una questione di contagio: le possibili debolezze dei sistemi bancari e delle finanze pubbliche di Portogallo e Spagna erano note già prima del salvataggio dell'Irlanda.

Il problema è che ogni salvataggio riduce le risorse facilmente disponibili per gli altri: per un paese grande come la Spagna, quello che rimane dei 440 miliardi dell'Efsf dopo che vi avranno attinto Irlanda e Portogallo potrebbe non bastare a rassicurare i mercati. Si dice spesso che sarebbe al più un problema passeggero, perché Portogallo e Spagna non sono né la Grecia (le finanze pubbliche non sono così disastrate) né l'Irlanda (le banche sono più solide, almeno così sembra); ma per alcuni sono in una posizione ancora peggiore, perché hanno un grosso deficit di competitività da cui non è chiaro come potranno uscire.

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Tags Correlati: Bilanci delle imprese | Borsa Valori | Dublino | Edward Munchau | Fmi | Grecia | Henry Paulson | Irlanda | Merkel | Portogallo | Spagna | Timothy Geithner | Wolfgang Schauble

 

Il secondo interrogativo riguarda il problema dei problemi: l'"azzardo morale". I guai dell'Irlanda hanno cause molteplici, ma una componente importante è la garanzia a tappeto che il governo estese nel settembre 2008 – nel pieno del ciclone Lehman – non solo ai depositi delle banche, ma anche a quasi tutti i detentori di bond bancari: queste garanzie valgono oggi circa i due terzi del disavanzo di bilancio del 32 per cento.

O ggi tutti preferiscono dimenticarlo, ma la maggior parte di economisti, commentatori e politici all'epoca lodarono l'Irlanda per aver agito con decisione e aver evitato il collasso del sistema bancario e finanziario.

È l'eterno dilemma dell'azzardo morale: nel mezzo di una crisi finanziaria bisogna salvare chi ha preso rischi eccessivi e spesso insensati per evitare effetti domino; ma così facendo si gettano i semi per un ripetersi di questi episodi, perché gli operatori imparano che qualcuno li salverà al momento buono. A parole, economisti e politici hanno ben presente questo dilemma; ma nei fatti, non è mai il momento giusto per affrontarlo. L'unico modo per farlo è lasciare fallire qualcuno ogni tanto; ma all'apice della crisi, chi ha il coraggio di farlo? E quando il sistema finanziario è calmo, le maggiori istituzioni finanziarie non falliscono.

Per questo la Merkel aveva perfettamente ragione, anche se nessuno osa ammetterlo: è venuto il momento di dire ai mercati che i salvataggi saranno solo parziali, in altre parole che i creditori di un'azienda finanziaria o di uno stato sovrano dovranno sopportare perdite legate ai rischi cui consapevolmente si espongono. Si è detto che facendo questa proposta nel pieno della crisi irlandese, la Merkel ha dimostrato di non comprendere i mercati: al contrario, probabilmente li ha compresi meglio di molti altri.

Allo stesso modo, è raro trovare oggi un economista disposto ad ammettere che Henry Paulson e Timothy Geithner ebbero ragione nel lasciare fallire Lehman. In realtà non ebbero scelta, come la ricostruzione di quei giorni ha dimostrato. Ma, soprattutto in Paulson, c'era anche la volontà di mandare un segnale ai mercati. Un sistema capitalistico non può funzionare se chi prende rischi assurdi, ed è anche male amministrato come lo fu Lehman in quegli anni, può sempre contare su qualcuno che li salvi. Contro le Cassandre di allora, il mondo è sopravvissuto al fallimento Lehman, ed è anzi molto probabile che il sistema finanziario abbia imparato una lezione, anche se pubblicamente nessuno lo ammetterà mai. Nel frattempo Paulson è diventato, a torto, un simbolo di incompetenza nel gestire la crisi finanziaria, una specie di zimbello per economisti, politici e operatori; sarebbe ora invece di riconoscere il servizio che rese al sistema finanziario internazionale prendendo una decisione controcorrente e impopolare, ma necessaria.

roberto.perotti@unibocconi.it

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