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Economia Politica economica

«Prima il budget, poi le elezioni», la crisi irlandese diventa anche politica. Nuovi timori portoghesi

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2010 alle ore 11:33.

Prima il budget poi lo scioglimento delle Camere. Sotto la minaccia di sfiducia dell'alleato Green Party il primo ministro irlandese Brian Cowen resiste a richieste di elezioni immediate o di dimissioni «nell'interesse del paese», ma prende atto che il suo governo è finito: all'inizio del 2011 si concluderà la legislatura. Cowen, in una conferenza stampa a conclusione di una tumultuosa sessione di governo, ha detto che «l'interesse del paese, che richiede stabilità economica, è preminente su quelli della politica» e che una volta votata la legge finanziaria e il piano fiscale quadriennale si andrà alle elezioni proprio come avevano chiesto oggi i Verdi.

Per gli irlandesi il premier Brian Cowen è un «biffo»

Sembra di assistere a uno di quei giochi dove, una dopo l'altra, le prede finiscono nel mirino del cacciatore, senza soluzione di continuità. Non è passata nemmmeno una mezza mattina dall'accordo sul piano anti-crisi a favore dell'Irlanda, che la speculazione si è già indirizzata verso gli altri anelli deboli della catena dell'euro. I "fantomatici" Cds sono tornati a crescere sui bond sovrani dei paesi periferici: Grecia, Portogallo e Spagna.

Certo, il loro incremento non è "drammatico": 36 punti base quelli su Atene; 0,29% i Credit default swap su Lisbona e 7 punti base per quelli iberici. Certo, visto che sono scambiati su mercati opachi e oligopolistici quali gli Otc, la loro l'attendibilità nel prevedere il rischio di default è molto bassa. Tuttavia, proprio perché facilmente "gestibili" da grandi operatori di mercato "interessati", sono un ottimo indizio per capire dove si prepara il prossimo attacco. Cioè in quel di Lisbona.

Non è importante che, al di là dell'innegabile problema di deficit e debito pubblico, sussista un vera difficoltà per il rifinanziamento del debito sovrano del Portogallo. È sufficiente, in questo momento di debolezza dell'area euro, scatenare le vendite; far salire i rendimenti dei goverantivi; dare instabilità. E il gioco è fatto. Ne è consapevole il governo portoghese che è subito intervenuto: «Non abbiamo bisogno di alcun aiuto per superare difficoltà finanziarie», ha detto il primo ministro del Paese, José Socrates. La stessa Ue ha minimizzato con forza il rischio di contagio della penisola iberica. Dichiarazioni che, sembrerà assurdo, servono a ben poco. Anzi, a contrariis, aumentano le aspettative di un prossimo futuro colpo a questi paesi. La speculazione ha trovato come fare i soldi è ci si "butta", il tutto a a scapito della spesa pubblica e dei vari welfare dei paesi europei.

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I verdi minacciano la crisi di governo
Una speculazione aiutata, peraltro, dalle stesse forze politiche al potere nei vari stati. Tornando alla cronaca, infatti, in Irlanda i Verdi chiedono «le elezioni legislative per la seconda metà di gennaio». Fino ad ora il partito ha fornito pieno sostegno al primo ministro Cowen, e i sei deputati della formazione sono stati cruciali per la tenuta della coalizione di governo formata insieme al Fianna Fail, la formazione del premier. È chiaro che, vista la delicatezza della situazione, l'instabilità politica è l'ultima cosa che si dovrebbe avere. Ma tant'è il vecchio detto "calma e sangue gesso"...è una chimera. Sembra prevalere lo spirito populistico: «L'Irlanda ha firmato la sua "resa" all'Unione europea e al Fondo monetario internazionale», scrive stamane il tabloid Irish Sun.

Le misure del piano
Il problema in Irlanda è che il governo del primo ministro Brian Cowen non sembra avere l'autorevolezza e la forza per imporre le misure draconiane taglia-debito: 15 miliardi in tre anni, per due terzi a carico della spesa sociale. Una scommessa azzardata, finalizzata a salvare le banche e a non toccare la fiscalità agevolata (anche se i colpi di scena sono ormai all'ordine del giorno) per le imprese (12,5%), che gioca tutto sulla capacità di tornare nel breve a crescere moltissimo. L'idea è di non fare scappare quelle multinazionali che grazie alle tasse basse (sempre osteggiate da Francia e Germania) hanno scelto l'Eire per costruire i loro impianti.

I soldi potranno trovarsi tra le misure "taglia" debito, quali la riduzione del salario minimo (oggi 8,65 euro l'ora) e il calo l'indennità di disoccupazione. In questo scenario complesso, giocoforza, si inseriscono le rivendicazioni dei sindacati, che scenderanno in piazza sabato. «L'irlanda - dicono - è già uno dei paesi del mondo a più alta diseguaglianza. Non possiamo accettare di veder peggiorare ulteriormente la situazione». Insomma, il percorso è stretto. E non aiuta la notizia di Moody's che parla : «di un probabile declassamento di più gradini del rating». Seppure, i bond irlandesi manterranno un rating di livello «investimento», ovvero il voto non scenderà sotto 'BBB-'.

Un avvio positivo
E sì che i mercati, in apertura, avevano tirato un piccolo sospiro di sollievo: durante la notte, infatti, era arrivato l'accordo sul piano di salvataggio tra Dublino, Unione europea e Fondo monetario internazionale. Un progetto che, secondo le dichiarazioni di oggi del presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker sarà certamente « inferiore ai 100 miliardi di euro». E che, a dar retta alle fonti diplomatiche, dovrebbe aggirarsi attorno ai 90 miliardi di euro. Euro più euro meno, quello che comunque è certo è il ruolo della Gran Bretagna nel progetto: il ministro delle Finanze di Londra, George Osborne, ha affermato che l'Inghilterra «concederà un prestito bilaterale del valore di 7 miliardi di sterline, ossia 8 miliardi di euro». E la stessa Svezia è pronta a lanciare un credito bilaterale da 5 a 10 miliardi di corone (da 530 milioni a 1,06 miliardi di euro) a Dublino.



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