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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2010 alle ore 08:54.
L'ultima modifica è del 08 dicembre 2010 alle ore 09:01.
A sei giorni dal discorso con cui, lunedì 13, il presidente del Consiglio si presenterà in Parlamento, lo stallo continua. Le posizioni restano rigide, le polemiche roventi. E in fondo ha ragione il direttore della Fondazione Farefuturo, quando giudica assurda l'accusa di "tradimento" rivolta dal Pdl ai seguaci di Fini. In effetti non ci sono "traditori" in questa vicenda, ma solo una serie di personaggi che stanno giocando una partita dagli esiti sempre più nebulosi.
Nessuno dei principali interpreti, da Berlusconi a Fini, può essere davvero sicuro delle carte di cui dispone. Tant'è che dietro le quinte, nonostante tutto, si svolge qualche incontro, o per meglio dire qualche abboccamento nella penombra. Ma non è questo che serve. Una trattativa fra Berlusconi e Bossi da un lato, Fini e Casini dall'altro, sarebbe senza dubbio opportuna, se però si svolgesse alla luce del sole e in una sede istituzionale. Visto che la posta in gioco è il futuro della legislatura, è il meno che si possa chiedere. A maggior ragione perché in realtà si sta discutendo di come chiudere la lunga stagione di Berlusconi per avviare una fase nuova della politica (sulla quale, peraltro, le idee sono molto confuse). Ed è logico che un passaggio politico tanto impegnativo debba avvenire in forme tali da consentire agli italiani di comprendere cosa accade. Finora non è così.
Ieri sera, ad esempio, c'era molta attesa per l'intervista di Gianfranco Fini a "Ballarò". S'immaginava che il presidente della Camera avrebbe preso l'iniziativa per rompere l'"impasse". Nella sostanza però dalle sue parole non sono venute novità di rilievo. Tranne una: la smentita all'ipotesi che in caso di elezioni "Futuro e Libertà" parteciperebbe a un grande "cartello" anti-berlusconiano di tutti contro uno. In questo c'è una logica. Da giorni il presidente della Camera si sforza di non farsi appiattire sulla sinistra. Prima ha dichiarato che non è sua intenzione favorire un cambio di alleanze (il "ribaltone"), ora nega la volontà di allearsi con il Pd. C'è una certa differenza con l'approccio di Casini, che invece tratteggia una "grande coalizione" alla tedesca, un patto nazionale fra destra e sinistra con un altro premier.