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Mirafiori: oggi si decide. Nell'agenda sindacale torna l'organizzazione del lavoro in fabbrica

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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2010 alle ore 08:04.

Se nella giornata di oggi verrà raggiunta un'intesa sindacale per lo stabilimento di Mirafiori, necessaria all'avvio della joint-venture tra Fiat e Chrysler, vorrà dire che la strada del cambiamento delle relazioni industriali passa ancora una volta da Torino. Il nuovo accordo è destinato a segnare l'ingresso della globalizzazione nella sfera diretta dei rapporti di lavoro e della loro regolazione. Mirafiori non è Pomigliano d'Arco. Se anche norme e istituti già presenti nel contratto per lo stabilimento campano della Fiat entreranno in quello per Mirafiori, saranno differenti il valore e il significato del documento.

Intesa vicina per Mirafiori (di Nicoletta Picchio)

La fabbrica torinese rappresenta, dal punto di vista storico, il volto pubblico della Fiat e un accordo valido per lo stabilimento in cui, il 5 agosto 1971, fu siglato il contratto divenuto poi, per molti anni, la pietra angolare delle relazioni industriali all'interno del gruppo, è chiamato a costituire un paradigma. Difficile dunque non considerare la sua portata e i suoi effetti.

A Mirafiori per la prima volta saranno utilizzati, per la definizione della cornice di regole contrattuali che servirà a governare la fabbrica, dei criteri che tengono conto di standard competitivi internazionali, come internazionale è il metodo del World Class Manufacturing, la nuova organizzazione del lavoro che verrà introdotta nella produzione Fiat (e di cui finora si è parlato troppo poco). Le relazioni industriali, pur declinate all'interno di differenti sistemi giuridici e sindacali, dovranno avere un nucleo comune, tale da corrispondere a un assetto organizzativo che permetterà di misurare i livelli di efficienza delle unità produttive del nuovo gruppo automobilistico derivante dall'alleanza tra Fiat e Chrysler. Nella visione di Sergio Marchionne, è evidente che ciò che conta è proprio la creazione di questa base produttiva omogenea, retta da standard internazionali, con cui l'involucro delle relazioni industriali non può essere in contraddizione. In questo senso, il World Class Manufacturing implica modelli di comportamento sindacale meno difformi ed eterogenei di quanto siano stati fino adesso. Il nodo fondamentale consiste nella responsabilità dell'organizzazione sindacale rispetto alla piena funzionalità operativa della fabbrica.

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Intesa vicina per Mirafiori (Foto Ansa)

Intesa vicina per Mirafiori

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Lo scontro sul contratto
Le controversie che da sei mesi fanno da sfondo al confronto prima su Pomigliano e in seguito su Mirafiori si sono appuntate soprattutto tra lo scarto esistente fra le norme che la Fiat vuole introdurre nei suoi contratti di stabilimento e la struttura del contratto nazionale di categoria dei metalmeccanici. Un divario valutato dalla Fiom-Cgil come una sottrazione di diritti e una lesione della tradizione sindacale italiana. Specularmente opposta l'ottica dell'azienda, che muove dalla richiesta di rispettare le esigenze produttive, in modo da assicurare una pronta risposta alle variazioni della domanda di mercato. È chiaro, a questo punto, che il vincolo globale non può che prevalere, con la forza naturale delle cose. Ma il sindacato italiano, nel suo complesso, compirebbe un errore se non scegliesse di misurarsi con la nuova prospettiva delle relazioni industriali che sta emergendo a Mirafiori. Anzitutto, perché un sindacato industriale non può evitare di calibrare le sue politiche sulla globalizzazione e, da questa angolatura, l'esperienza Fiat può servire, come già è avvenuto in passato, per mettere a fuoco problemi importanti anche per le altre componenti dell'industria italiana. In secondo luogo, perché Mirafiori rimette al centro dell'azione sindacale la questione dell'organizzazione del lavoro, un cavallo di battaglia del sindacato di un tempo, caduto troppo a lungo nel disuso.

È come se le organizzazioni dei lavoratori avessero deciso di rinunciare a un patrimonio di esperienze che era stato una volta il nocciolo vitale delle loro politiche contrattuali sul luogo di lavoro. Certo, le condizioni sono mutate e i problemi della produttività non possono più essere elusi, ma dalla ripresa di questi temi in una nuova chiave il sindacato italiano non ha che da guadagnare, specie per quanto riguarda lo sviluppo della propria capacità di rappresentanza e di contrattazione. Tornare a discutere di produttività, salari e nuovi sistemi di orario non può che far bene a un mondo sindacale isterilito da procedure centralistiche sorrette per troppo tempo da un rimando rituale alla concertazione. Il decentramento negoziale, spesso evocato senza poi tradursi in pratica anche per il dilagare della crisi, può quindi essere posto alla prova nei suoi contenuti qualificanti, che attengono alla produzione della ricchezza e non solo alla sua ridistribuzione.

A Mirafiori la Fiat ha sfidato ancora una volta i sindacati. Ma, anche in questa occasione come nelle precedenti, li sollecita di fatto a ripensare al loro modo d'essere, alle forme della tutela dei lavoratori che esercitano, a come far valere nel vivo dei processi contrattuali la loro rappresentatività. A rilanciare il mestiere sindacale nell'età della globalizzazione.

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