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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2010 alle ore 08:20.
L'ultima modifica è del 31 dicembre 2010 alle ore 07:30.
Il futuro busserà con forza alla porta dell'Italia in questo 2011. Sarà duro, di crisi, perché chi chiacchiera di riprese veloci o è travolto dalle feste o non sa cosa dice. I buoni numeri americani, l'eccellente performance 2010 dei paesi nuovi, la tenuta tedesca, non nascondono quello che gli economisti più saggi sanno: vivremo un «new normal», una normalità fatta di costumi, produzioni, ritmi e culture diverse. Ha ragione il nostro Alberto Alesina a richiamarci alla realtà, il mercato ha conosciuto scacchi e fallimenti tra la fine del XX e l'esordio del XXI secolo.
Ma sta traendo centinaia di milioni di uomini dalla fame in America Latina, in Asia e presto in Africa, dopo averlo fatto con i nostri nonni e bisnonni in Europa e America. Non è la globalizzazione ad avere ridotto e messo a rischio il lavoro tradizionale nel nostro mondo, è la tecnologia che ha ridotto il numero di addetti per tanti mestieri, dalla fabbrica, ai servizi, alle burocrazie. Il nuovo lavoro si creerà dal sapere nuovo, dall'innovazione, da start-up capaci di disegnare il magico triangolo della ricchezza 2.0: laboratori di ricerca e università, aziende che cambiano ogni giorno, infrastrutture fisiche e immateriali di rete, intessute dall'amministrazione pubblica.
Così il mondo si è messo in movimento, così il mondo si batterà nel 2011 per creare ricchezza e per contendersi quella esistente. Così il mondo va, dalla Cina che compra debito greco, mettendo un piede in Europa come ha fatto in Africa mentre tiene d'occhio il mercato dei minerali rari, agli Stati Uniti che il professore Kennedy conferma in declino ma che il giovane presidente Obama vuol tenere in corsa, al Brasile liberista dell'ex presidente Lula (che si tiene il pessimo Battisti in omaggio ai vecchi gauchisti), all'India incapace di controllare i conflitti etnici, di liberarsi della burocrazia, ma forte nel software e nell'uso intelligente del background orientale e britannico.
Per l'Italia, ferma, ipnotizzata dal passato e dalle sue fruste contese, in scacco tra il dominatore della politica degli ultimi tre lustri, Silvio Berlusconi, incapace di riformare l'economia, e un'opposizione incapace di riformare se stessa, sarà un anno cruciale. Chi si illudesse di passarlo traccheggiando, con un governo in bilico, una politica biliosa, un giornalismo isterico, un sindacato nostalgico di un'industria che non esiste più, imprese incapaci di misurarsi con la globalità, l'opinione pubblica chiusa su se stessa, perderebbe 365 decisivi giorni.