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Nelle urne il valore del lavoro, ecco il testo dell'accordo di Mirafiori

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 09:01.
L'ultima modifica è del 14 gennaio 2011 alle ore 07:45.

Un voto sul futuro. Di un impianto, Mirafiori. Di un gruppo, la Fiat. Le schede che da ieri entrano nelle urne di fabbrica sono comunque destinate a cambiare la storia industriale del paese. Soprattutto la storia delle relazioni industriali. Non cambieranno la Costituzione, formale o materiale che sia. Non si cimenteranno con un'emergenza democratica, con una riduzione della civiltà dei diritti. Ma solo e soltanto con regole nuove per aumentare la produttività, ridurre l'assenteismo e responsabilizzare le parti sui patti sottoscritti.

Sul treno da Asti con i pendolari del primo turno (di Nino Ciravegna)

La lunga viadal fordismo ai robot (di Paolo Bricco)

Ecco il testo dell'accordo di Mirafiori

A quei «sì» o «no» dei lavoratori, tuttavia, è legato l'unico grande progetto-paese visibile in questi giorni di vacche magre per il bilancio pubblico e di politiche industriali senza regìa e senza idea di un'Italia del futuro. Nelle urne, dunque, si decide il destino del più grande gruppo manifatturiero italiano impegnato sul difficilissimo mercato globale dell'auto. È una forma di responsabilizzazione estrema per gli operai di Mirafiori che, quando sceglieranno, matita alla mano, l'alternativa comprenderanno appieno il valore, non solo simbolico, ma di sostanza, del loro stesso ruolo.

Ed è proprio questa la nuova scommessa che la linea Marchionne propone alle rappresentanze dei lavoratori: non un ricatto, ma una necessità; non un abbandono delle conquiste del 900, ma una modernizzazione nelle condizioni operative del lavoro. In cambio: la sopravvivenza dell'occupazione, una diversa e più alta forma di remunerazione della fatica, una più alta qualità nelle relazioni tra capitale e lavoro.

Dato il peso che questa consultazione conferisce ai lavoratori, sarà anche più legittima la richiesta delle delucidazioni sul futuro degli impianti di Fabbrica Italia, sulla nuova gamma dei modelli, sui rapporti globali tra Torino e Detroit, tra la nuova Fiat sdoppiata e Chrysler, il terzo gruppo automotive americano, rimesso in sesto dopo la cura imposta dal manager abruzzese del Lingotto.

Ha ragione Bob King, leader del sindacato americano Uaw, che con Marchionne si è confrontato sul rilancio a Detroit: «Va abbandonata la vecchia mentalità dello scontro. La nuova lotta di classe è nel lavorare insieme per ricostituire la nuova classe media globale». Il confronto italiano sul destino di Mirafiori ha spostato il vero valore della sfida – quella di King – e l'ha confinato nelle angustie del conflitto sociale, ideologico, di chi guarda al diritto al lavoro passando attraverso il diritto del lavoro, ma perdendo di vista il lavoro tout court. La Fiom punta su un "Vietnam giudiziario", una guerriglia legale con cui cannoneggiare i diversi punti degli accordi anche in caso di vittoria dei «sì». Ma le regole studiate per Mirafiori stanno nella cornice costituzionale e utilizzano le norme esistenti sulla rappresentanza sindacale nelle aziende. Del resto la stessa Fiom ha sottoscritto ante litteram intese "in stile Marchionne", proprio a pochi chilometri da Mirafiori, alla ex Sandretto di Torino ad esempio (si veda a pag. 2). Una scelta di buon senso, che è poi la migliore bussola di ogni sindacato, da noi come negli Usa. Una scelta giusta.

L’articolo continua sotto

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Tags Correlati: Attività sindacale | Bob King | CGIL | Chrysler | Cisl | Fiat | Fiom | Giulio Pastore | Luigi Einaudi | Raffaele Bonanni | Stati Uniti d'America | Susanna Camusso | Torino | Winston Churchill

 

Nella campagna elettorale di queste ore le grida e i toni sovreccitati – com'è accaduto anche in altri tempi non felici – oscurano la pacata ragionevolezza di chi comprende come sia in gioco un business delicatissimo, vincolato a variabili planetarie, ben oltre l'ombelico della propria linea produttiva e del proprio capannone. È auspicabile che, se prevarranno i «sì», la Cgil di Susanna Camusso riesca a ricondurre anche i propri metalmeccanici alle nuove compatibilità degli accordi, unica strada per continuare le produzioni in Italia. È auspicabile anche che si inauguri, nel primo gruppo multinazionale del nostro paese, una nuova stagione di confronto tra chi ha delega a rappresentare gli azionisti e chi invece i lavoratori.
È la rotta che traccia oggi King da Oltreoceano, ma era il sogno di Luigi Einaudi: arrivare a comporre la «contesa tra capitale e lavoro» in una dialettica virtuosa che «sostituisca il concetto di conquista sull'avversario con quello della risoluzione di un problema di interesse comune». Era perfino il tema del primo discorso, da politico in erba, di Winston Churchill che voleva, da conservatore, la condivisione dei risultati d'impresa tra capitalisti e lavoratori ««sperando molto di più nella marea montante della democrazia tory che non dal canale prosciugato del radicalismo».

È il sogno, oggi, della Fim e della Cisl di Raffaele Bonanni, dopo che lo era stato a suo tempo per Giulio Pastore. È l'obiettivo delle altre sigle – Uilm, Fismic, Ugl – che, con coraggio, hanno sfidato l'impopolarità. Il "canale del radicalismo" scorre ancora in molte menti, siano esse di antichi nostalgici o di più recenti cinici politici catodici. È più facile la propaganda sul conflitto sociale che non quella su una nuova grammatica per gestire gli interessi – a tratti non sempre convergenti ma mai opposti – di chi impiega rischio e denari e chi partecipa con la fatica del lavoro.

Non faccia velo a chi dovrà votare, ancora oggi, la campagna elettorale interessata di chi cerca visibilità in una comparsata ai cancelli. Né siano di conforto gli allarmi di chi grida alla "fine della democrazia" o di chi addirittura invoca la violenza proletaria. La democrazia non c'entra; la violenza, si spera, meno che mai; c'è solo il lavoro del futuro in un'Italia che, finora con troppa indolenza, non aveva mai voluto prendere atto di essere un paese dell'Europa che compete nel mondo, senza più barriere culturali, economiche, sociali o politiche. Barriere ormai impossibili per tutti.

È un'occasione unica avere nelle proprie mani il destino del proprio lavoro. Il buon senso, la voglia di futuro, l'impegno a fare dei lavoratori i nuovi protagonisti della sfida occupazionale e del made in Italy, tutto dice «sì». Limpidamente «sì». Poi comincerà il tempo di una nuova storia industriale. Per Torino e per l'Italia nel mondo.

Ecco il testo dell'accordo di Mirafiori

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