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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 08:58.
L'ultima modifica è del 14 gennaio 2011 alle ore 07:43.
A questo punto è bene che il presidente del Consiglio si attenga al proposito manifestato due giorni fa, alla vigilia della sentenza: la pronuncia della Corte, aveva detto Berlusconi, non influirà sull'attività di governo. Il che oggi significa due cose: primo, rispettare il verdetto della Corte Costituzionale senza commentarlo d'istinto ed evitando le asprezze polemiche del recente passato; secondo, vedere il bicchiere mezzo pieno, anche se forse si tratta di un bicchiere mezzo vuoto.
VIDEOANALISI/ La Corte è arbitro, per Berlusconi un sentiero stretto (di Stefano Folli)
Scudo bocciato in parte (di Donatella Stasio)
Berlusconi: sentenza ininfluente,sul governo
È vero, peraltro, che la sentenza ha salvaguardato l'impianto generale della legge, il cosiddetto «scudo giudiziario». Ha riconosciuto che il legittimo impedimento del premier può essere legittimo, ma ha rimesso nelle mani del giudice la facoltà di valutare caso per caso le buone ragioni dell'impedimento (gli impegni istituzionali che impediscono al capo dell'esecutivo di rispondere alla convocazione processuale). Su questo punto cruciale gli eventuali e probabili conflitti fra governo e magistratura saranno competenza della Corte Costituzionale. E così, alla fine di un giro tortuoso, i giudici della Consulta diventano arbitri della vicenda.
Sullo sfondo c'è il referendum abrogativo caro a Di Pietro. Dovrà passare al vaglio della Cassazione e con ogni probabilità il quesito sarà corretto. Tuttavia, visto che la Corte non ha abrogato la legge, è possibile che la consultazione ottenga il via libera. Vorrebbe dire che il referendum diventerà in primavera un problema politico non indifferente, uno scoglio non aggirabile per la maggioranza e il suo leader.
Al momento Berlusconi ha tutto l'interesse a mantenere i nervi saldi. Il compromesso non è destabilizzante per gli equilibri di governo e non decapita il presidente del Consiglio. Una consolazione a metà: forse la legge sarebbe stata più efficace e avrebbe superato il vaglio della Corte se a suo tempo fossero stati accettati gli emendamenti proposti da Vietti, allora esponente dell'Udc e oggi vicepresidente del Csm. Ma è andata così.
Adesso il sentiero di Berlusconi si restringe, benchè il presidente del Consiglio sia abituato da anni a misurarsi con i magistrati. Continuerà a farlo, persuaso nel suo intimo che questa condizione gli giova sul terreno elettorale. Resta il fatto che la decisione della Consulta s'inserisce in un quadro generale già logorato.