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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 08:18.
L'ultima modifica è del 20 gennaio 2011 alle ore 07:51.
La controffensiva di Berlusconi è cominciata sulle reti televisive, sullo sfondo un po' incongruo del Tricolore e della bandiera europea. Se è stata efficace lo diranno le prossime settimane, che è facile immaginare agitate. Ma non c'è dubbio che il messaggio sia apparso duro e determinato, in linea con il solito spirito pugnace del personaggio. A breve equivale a gettare benzina sul fuoco. Berlusconi si sente sfidato dalla magistratura e risponde alzando il livello dello scontro. Dal castello in cui è arroccato risponde alla procura con colpi di artiglieria pesante. Per certi aspetti, lo scenario peggiore. Soprattutto perché il messaggio contiene una risposta implicita a Giorgio Napolitano, che aveva chiesto di chiarire la vicenda nelle sedi proprie, in primo luogo quella giudiziaria. E la risposta è un «no».
Cosa avrebbe voluto il presidente della Repubblica? Appunto di non lasciare zone d'ombra circa le «gravi ipotesi di reato» (magari inconsistenti, ma sulla carta gravi) e in subordine di non alimentare il conflitto istituzionale. Berlusconi ha fatto esattamente l'opposto. Ha accusato di nuovo la magistratura di voler sovvertire il voto popolare e anzi di violare la Costituzione. L'ha indicata all'opinione pubblica come il nemico da battere, poiché qualunque cittadino potrebbe cadere vittima delle stesse persecuzioni cui è sottoposto lui.
In altre parole, Berlusconi non intende farsi intimidire e ovviamente non pensa nemmeno alla lontana di dimettersi. Si preoccupa invece di chiamare a raccolta i suoi sostenitori, in Parlamento e fuori, di rassicurarli che la tempesta passerà: bisogna tener duro il tempo necessario.
Altro punto cruciale. Il presidente del Consiglio non andrà dai magistrati. Ne avrebbe un gran desiderio, dice, perché non vede l'ora di spazzare via le false accuse costruite dalla procura milanese. Ma proprio non può, data l'incompatibilità territoriale di questa procura rispetto a Monza, nella cui provincia è compresa la villa di Arcore. Se andasse a spiegarsi da Ilda Boccassini, afferma il premier, finirebbe per avvalorare la «violazione della competenza». Tema sul quale i suoi avvocati non resteranno con le mani in mano.