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In Egitto la dittatura non è un destino

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2011 alle ore 09:23.
L'ultima modifica è del 01 febbraio 2011 alle ore 09:23.

Non sappiamo come andrà a finire in Egitto. Non siamo in grado di prevedere se Hosni Mubarak resisterà alle rivolte di piazza, se al Cairo si installerà un credibile governo di transizione verso la democrazia, se i militari garantiranno la laicità dello stato, se i Fratelli musulmani sfrutteranno il vuoto di potere per creare una repubblica islamica. Sappiamo soltanto una cosa: le dittature non portano stabilità. Altrimenti il Medio Oriente sarebbe la regione più stabile del mondo. Invece è, appunto, il Medio Oriente un luogo flagellato da 60 anni di guerre, pervaso da fanatisimi di ogni tipo, teatro di violenze senza senso.

Le dittature portano repressione. Cancellano la società civile. Negano lo sviluppo economico. Alimentano fascismi, nazionalismi armati e interpretazioni belliche dell'Islam (jihad). I regimi dispotici distruggono le istituzioni politiche, arrestano gli oppositori liberali, spazzano via qualsiasi alternativa e costringono i sudditi a rifugiarsi nelle moschee, nelle madrasse, nelle istituzioni religiose dove si diffonde la cultura dell'odio naturalmente rivolta verso l'esterno, verso l'Occidente, verso l'America, verso chi finanzia i loro carcerieri.

I regimi mediorientali torturano i loro stessi cittadini, sponsorizzano il terrorismo e consentono all'islamismo radicale di sopravvivere, proprio per ricordare all'Occidente che cosa potrebbe succedere senza il loro provvidenziale pugno di ferro. Turarsi il naso per il despota di turno – Saddam, Assad, Abdullah, Mubarak, Ben Alì, Gheddafi – alla lunga non è una politica saggia, credibile, meno che mai "realista".

L'idea che l'uomo forte garantisca il commercio del petrolio e la sicurezza d'Israele è un'illusione. L'Egitto è stato il principale alleato mediorientale d'Israele e Stati Uniti, ma è stato costretto a questa "umiliazione" per aver perso due guerre lanciate per distruggere lo stato ebraico (e l'uomo che ha siglato la pace con gli ebrei, Anwar al Sadat, è stato ucciso esattamente per questo motivo).

Sono i regimi arabi, compresi quelli che definiamo "moderati" o "laici", ad alimentare la cultura dell'odio anti-occidentale, a puntare il dito contro il nemico esterno, a usare l'estremismo musulmano per chiedere più soldi e ottenere mano libera per schiacciare il dissenso.

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Come evolverà a breve termine la situazione in Egitto?L'unica cosa certa è che l'esercito giocherà

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Come evolverà a breve termine la situazione in Egitto?Possiamo tratteggiare due scenari possibili.

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Come evolverà a breve termine la situazione in Egitto? Credo che assisteremo a una prosecuzione dei

Tags Correlati: Barack Obama | Ben Alì | Egitto | George Bush | Hosni Mubarak | Israele | Medio Oriente | Politica | Tony Blair

 

La politica dello status quo non ha funzionato, come è stato evidente quella mattina di settembre del 2001. Barack Obama ha provato a tendere la mano con il discorso del Cairo, ma in cambio ha ricevuto un pugno serrato. L'alternativa è cambiare quei regimi e, nell'attesa, le politiche occidentali sul Medio Oriente. La strada è puntare sugli aiuti economici, sociali, culturali a favore della società civile, rigettando la tesi che il mondo arabo sia incompatibile con la democrazia.

Il conservatore George Bush e il socialdemocratico Tony Blair avevano individuato una strategia per stimolare pacificamente la formazione di gruppi, movimenti, istituzioni liberali nel Greater Middle East, ma i problemi creati dalla guerra in Iraq e la loro uscita di scena hanno convinto i successori ad abbandonare un programma che magari oggi avrebbe fatto trovare pronta un'opposizione democratica alternativa a quella illiberale dei Fratelli musulmani. Negli ultimi due anni, in realtà, anche Bush si è tirato indietro. Obama invece ha ridotto gli aiuti economici al Cairo (non quelli militari), dimezzato il sostegno finanziario e azzerato quello politico ai gruppi democratici egiziani. Non è una sorpresa che oggi la piazza non abbia una guida e possa essere strumentalizzata dagli islamisti. I pericoli sono enormi. Ma la dittatura è parte del problema, non della soluzione.

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