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Questo articolo è stato pubblicato il 17 febbraio 2011 alle ore 08:24.
L'ultima modifica è del 17 febbraio 2011 alle ore 07:48.
Non è una novità che la strategia berlusconiana si riassuma nella determinazione a resistere. A Palazzo Chigi e alla testa del governo. Contro i processi, le procure e il complesso politico-mediatico da cui il premier si sente incalzato.
Per l'opposizione una chance, molti rischi (di Roberto Alimonte)
Semmai il dato emerso ieri è la maschera di serenità che il presidente del Consiglio ha imposto a se stesso in una conferenza stampa quasi di ordinaria amministrazione (il protagonista doveva essere il ministro dell'Economia), alla quale ha voluto partecipare proprio per dissipare l'impressione di un uomo in fuga. L'obiettivo era trasmettere all'opinione pubblica un'idea di normalità: si va avanti come se le imputazioni avallate dal Gip non esistessero, come se il 6 aprile quest'anno fosse un giorno non registrato sui calendari, anzichè l'inizio del fatidico «rito immediato».
Non è così, naturalmente. Berlusconi è preoccupato e tutt'altro che tranquillo, come invece vorrebbe apparire. Tuttavia il primo passo della controffensiva prevede la diffusione di questa immagine operosa: il premier lavora come se niente fosse. Quando sappiamo che per risalire la china a breve termine, ammesso che sia possibile, occorrono almeno tre condizioni.
Primo, fare i conti con i numeri alla Camera. I 315-316 voti rappresentano il minimo indispensabile, ma sarebbe fondamentale sul piano politico dimostrare che la maggioranza dispone di una certa forza d'attrazione, nonostante le difficoltà. I meno fiduciosi del Pdl ritengono che il blocco berlusconiano possa arrivare a quota 318-320. I più ottimisti prevedono di allargarsi fino a 325, magari sfruttando a dovere la crisi prematura del partito di Fini. Il che è più facile a dirsi che a farsi.
Una maggioranza solida è il pre-requisito per realizzare la seconda condizione: l'appoggio della Lega, ovviamente indispensabile. Berlusconi considera il sostegno che Umberto Bossi gli ha confermato l'unica buona notizia degli ultimi giorni. Tuttavia, a ben vedere, non si tratta di un assegno in bianco.
Dire che «il governo va avanti se ha i numeri, altrimenti cade da solo» (parole del leader del Carroccio) equivale a manifestare una certa prudenza, forse uno scetticismo di fondo. O meglio: Bossi ha voluto attribuire all'alleato Berlusconi la responsabilità dei numeri. In sostanza gli ha detto: i voti della Lega ci sono, soprattutto in vista del federalismo fiscale, traguardo a portata di mano; per il resto valuta tu se hai ancora il consenso parlamentare.