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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2011 alle ore 08:32.
L'ultima modifica è del 18 febbraio 2011 alle ore 07:38.
Perché le quote se siamo brave? È la domanda che si fanno le giovani laureate con il massimo dei voti, le professioniste affermate, le manager alla guida di grandi aziende. Se le prime devono ancora trovare una risposta, le altre, che ogni giorni provano a sfondare il tetto di cristallo, l'hanno già trovata. Tanto è vero che secondo un sondaggio l'80% delle manager italiane si dice a favore della legge che introduce le quote di genere nei consigli di amministrazione. Certo, con qualche sfumatura. Ci sono le convinte della prima ora e le meritocratiche pentite.
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A tutte piacerebbe arrivare solo per merito, eppure se quel tetto di cristallo non si sfonda diventa inevitabile un'affermative action che rompa lo status quo. Un'azione positiva prevista dall'articolo 3 della Costituzione e confermata da sentenze della Suprema Corte. E prevista a livello europeo, dopo la risoluzione del 2010 che esortava gli stati membri della Ue a «promuovere una presenza più equilibrata tra donne e uomini nei posti di responsabilità delle imprese». Tanto è vero che in Europa si sta andando in quella direzione: in Norvegia (2006), Spagna (2007) e Francia (2011) le quote del 40% riservate al genere meno rappresentato sono già una realtà. In Gran Bretagna il governo ha dato mandato a un consulente di studiare le soluzioni per colmare il gap e le quote sono un'ipotesi, così come in Germania se le aziende non incrementeranno volontariamente il numero di donne nei cda.
Ma perché è tanto importante che le donne entrino nella stanza dei bottoni? È solo una questione di potere? In realtà bisogna guardarla da un altro punto di vista. Studi internazionali hanno dimostrato come la presenza di donne nei cda migliora le performance delle aziende. Ora uno studio di McKinsey-Cerved dimostra come sia vero anche in Italia. Le società italiane, quotate e non quotate, con almeno il 20% di donne nel top management hanno ottenuto nel triennio 2007-2009 una redditività superiore a quelle che hanno meno del 20% di presenza femminile: +9% a livello di redditività sul capitale (roe), +37% come redditività sugli investimenti (roi) e +18% della redditività delle attività aziendali (roa). Le performance sono addirittura migliori se l'amministratore delegato della società è donna: +33% del roe rispetto al totale del campione, +73% del roi e +31% del roa.