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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2011 alle ore 09:19.
L'ultima modifica è del 01 marzo 2011 alle ore 09:19.

Col tempo, è diventato sempre più chiaro, spesso grazie alle comunicazioni intercettate o ai racconti dei ribelli catturati, che il nostro nemico era costituito da una costellazione di combattenti organizzati non per gradi gerarchici, ma sulla base di rapporti e conoscenze, reputazione e fama.

Tutto questo generava flessibilità e un'incredibile capacità di espandersi e sostenere le perdite. Il nemico non convoca comitati di promozione; la rete si forma da sé. Abbiamo osservato un giovane iracheno stabilirsi in un quartiere e acquisire rapidamente importanza. Dopo aver ottenuto qualche successo tattico, si impegnava nell'autopromozione, instaurava relazioni, raccoglieva seguaci e, improvvisamente un nuovo nodo della rete veniva creato e assorbito. L'energia della rete aumentava.
In guerra, si prendono decisioni sulla base di indicatori. Quando si affronta il nemico, si stima la sua forza tattica e si cerca di intuire la sua strategia pianificata. Questo è molto più facile quando il nemico è una colonna che avanza verso di te in bella vista. Il nostro problema, nell'Iraq del 2003 come nell'Afghanistan di oggi, è che gli indicatori spuntavano da tutte le parti, in modo sconnesso e inatteso, per poi spesso sparire rapidamente come erano emersi, balenando all'orizzonte solo per qualche istante.
Ci siamo resi conto che dovevamo acquisire la capacità di rilevare velocemente i cambi di sfumature, dalla comparsa di nuove personalità e alleanze a qualche improvvisa modifica tattica. E dovevamo elaborare quelle nuove informazioni in tempo reale, in modo da poterle trasformare in azione. Un flusso di tizzoni ardenti ci cadeva intorno e dovevamo vederli, afferrare tutti quelli che potevamo e reagire istantaneamente a quelli che avevamo mancato e che cominciavano ad appiccare il fuoco. Un'idea vaga si è presto trasformata in un mantra: serve una rete per sconfiggere una rete.
Il nostro primo tentativo si è incentrato sulla creazione fisica di una rete. Abbiamo convinto le agenzie partner di Jsotf a unirsi a noi in una grande tenda, in una delle nostre basi, affinché potessimo condividere ed elaborare le notizie di intelligence in un unico posto. Operatori e analisti di diverse unità e agenzie lavoravano fianco a fianco tentando di fondere le attività operative e di intelligence, oltre alle rispettive culture, in uno sforzo unificato. Potrebbe sembrare ovvio, ma all'epoca non lo era affatto.

L'accelerazione
Questa intuizione ci ha permesso di avvicinarci alla costruzione di una vera rete, mettendo in collegamento chiunque avesse un ruolo in un'operazione antiterrorismo di successo, a prescindere che fosse di scarso rilievo, geograficamente distante o organizzativamente diverso. In gergo, l'abbiamo chiamata F3ea, per «Find, fix, finish, exploit and analize» (trova, fissa, finisci, sfrutta e analizza). L'idea era combinare gli analisti che trovano il nemico (tramite il lavoro di intelligence, sorveglianza e ricognizione); gli operatori dei droni che fissano l'obiettivo; le squadre combattenti che finiscono l'obiettivo catturandolo o uccidendolo; gli specialisti che sfruttano l'intelligence raccolta con il raid, come cellulari, mappe e prigionieri; e infine gli analisti di intelligence che trasformano questi dati grezzi in conoscenze utilizzabili. In questo modo, abbiamo accelerato il ciclo di un'operazione antiterroristica, ricavando informazioni preziose nel giro di ore, anziché di giorni.

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