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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 08:00.

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L'accresciuta autonomia tributaria è da salutare con favore. Solo che essa è accompagnata nel decreto da tanti lacci e laccioli da domandarsi quale sia l'effettiva intenzione del legislatore. Per esempio l'Irap si può solo diminuire, non aumentare, e comunque la riduzione dell'Irap non può avvenire se si aumenta l'addizionale Irpef al disopra dell'attuale 0,5% discrezionale. Ancora, l'addizionale Irpef può aumentare sopra questo livello, ma per tutti gli scaglioni solo per i lavoratori autonomi; per i dipendenti e assimilati, solo dal terzo scaglione in poi. Si osservi anche che non è noto su quale base questi esercizi di autonomia tributaria dovrebbero innestarsi, perché rimane imprecisata nel decreto la dimensione della componente obbligatoria dell'addizionale regionale sull'Irpef.

Infine, su tutto questo aleggia il vincolo dell'invarianza della pressione tributaria («l'esercizio dell'autonomia tributaria, in ogni regione, non può comportare un aumento della pressione fiscale sul contribuente») che preso alla lettera rischia di rendere impossibile ogni intervento (come si può lasciare inalterata la pressione tributaria su ogni singolo contribuente?). È evidente che se davvero s'intende rafforzare l'autonomia tributaria regionale, la commissione bicamerale è chiamata a un'opera radicale di chiarificazione e di bonifica dei vincoli presenti nel testo attuale del decreto.

L'altro grande tema ancora da chiarire riguarda il ruolo dei costi standard nel riparto dei fondi sanitari e in prospettiva, delle altre parti della spesa regionale destinata alle funzioni fondamentali. Qui la scelta del governo è stata quella di introdurre sì i costi standard, attraverso un sistema complicato di determinazione di un sottoinsieme di regioni "efficienti", ma di renderli, di fatto, non operativi. Il riparto dei fondi sanitari avverrà in futuro, così come in passato, in proporzione a un pro capite pesato per l'età della popolazione. Ma introdurre dei costi standard, per poi renderli non operativi, non ha molto senso. Pur riconoscendo l'opportunità che il riparto dei fondi avvenga sulla base di criteri semplici, come il pro capite pesato, sarebbe comunque utile impiegare i benchmark almeno come sistema di incentivazione per le regioni, premiando quelle che con il tempo vi si avvicinano di più.

A questi meccanismi di incentivazione e a un sistema altrettanto efficace di sanzioni per le regioni inadempienti, che contemplino anche il "fallimento politico" per gli amministratori più incapaci, è legata la possibilità di migliorare davvero la gestione sanitaria.

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