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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 08:47.
L'ultima modifica è del 03 marzo 2011 alle ore 06:40.

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Gli americani amano la rivoluzione. Dato che la loro grande nazione è nata da una dichiarazione rivoluzionaria e forgiata da una guerra rivoluzionaria, istintivamente si schierano con i rivoluzionari di altri paesi e altre terre, a prescindere dalle differenti circostanze nelle quali quei paesi si trovano e da quanto disastrosi possano esserne gli esiti.

Questa cronica riluttanza a trarre i debiti insegnamenti dalla storia potrebbe comportare un prezzo alquanto oneroso da pagare, se l'ondata rivoluzionaria che sta spazzando l'Africa del Nord e il Medio Oriente si dovesse infrangere con lo stesso impatto devastante della maggior parte delle ondate rivoluzionarie.
Benjamin Franklin e Thomas Jefferson plaudirono alla rivoluzione francese. Il primo scrisse che «i francesi avevano fatto pratica di libertà in questo paese, e ... adesso l'hanno procurata a loro stessi». Jefferson arrivò a difendere i giacobini, responsabili del sanguinario Regno del Terrore. «La libertà della terra intera dipendeva dalla riuscita di questa sfida - scrisse nel 1793 - ma si è mai vinto un premio senza pagare un prezzo così esiguo in termini di sangue degli innocenti? Avrei preferito vedere desolata metà della terra, che fallita la rivoluzione».

Il giornalista John Reed ne I dieci giorni che sconvolsero il mondo - libro per il quale lo stesso Lenin (il «grande Lenin», secondo Reed) scrisse un'appassionante prefazione - si espresse con ugual entusiasmo sulla rivoluzione russa del 1917. La controparte di Reed per la rivoluzione comunista cinese fu Edgar Snow, la cui descrizione di Mao - «Aveva la semplicità e la naturalezza di un contadino cinese, con un brillante senso dell'umorismo e una vera passione per le risate schiette» - oggi ci fa gelare il sangue nelle vene.
Più e più volte nel corso della storia gli americani hanno plaudito alle rivoluzioni, per poi tacere bruscamente e inspiegabilmente, non appena quelle stesse rivoluzioni si apprestavano a divorare non i loro figli soltanto, ma anche quelli altrui. In ogni caso, il conto delle vittime è sempre stato nell'ordine dei milioni.

Pertanto, oggi che assistiamo alle rivoluzioni che dilagano nel mondo arabo (e in teoria anche oltre), sarà bene tenere a mente queste tre caratteristiche delle rivoluzioni non americane:

1. Per le rivoluzioni occorrono anni: forse nel 1789, nel 1917 e nel 1949 l'alba promise una mattina tranquilla e felice. A quattro anni di distanza, era ancora notte fonda in pieno giorno.
2. Le rivoluzioni iniziano allorché si sfida l'ordine politico costituito, ma quanta più violenza occorre per raggiungere quello scopo, tanto più l'iniziativa passa nelle mani di uomini violenti - Robespierre, Stalin e Mao, il "senza cuore" supremo.

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