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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 10:14.

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«In queste condizioni non si può andare avanti. Ci dicano chiaro se vogliono chiudere i teatri». La lamentazione dei sovrintendenti delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche è unanime. Dopo il mancato reintegro del Fus attraverso il decreto legge milleproroghe – annunciati 160 milioni, concessi 15 – e dopo il congelamento di altri 27 ad opera del ministero dell'Economia, la situazione è precipitata. Se non ci saranno interventi da parte del Governo, la programmazione del secondo semestre dell'anno rischia di essere cancellata o, nel migliore dei casi, ridotta.

«Non c'è altra scelta»: è il lapidario commento di chi, a Torino, Bologna, Venezia, Roma deve tirare le fila di budget sempre più risicati. Mai il fondo unico – aiuto statale fondamentale per tutto il mondo dello spettacolo (lirica, teatro, danza, cinema, circhi, musica ) – era caduto così in basso. In poco più di un decennio si è ridotto a meno della metà: era di 530 milioni nel 2001, quest'anno non supera i 260.
Ma invece di prendere esempio dalle loro orchestre e suonare all'unisono così come hanno fatto in passato anche di fronte a situazioni meno drammatiche, le proteste di musicisti e maestranze teatrali procedono in ordine sparso. Eseguono da solisti. Ogni fondazione mette in scena la propria rimostranza. Oggi a Roma il consiglio di amministrazione di S. Cecilia deciderà se accettare le dimissioni del proprio sovrintendente, Bruno Cagli, che ha dichiarato di non voler diventare complice di «questa dismissione culturale». Giovedì, festa nazionale dell'Unità italiana, a Venezia La Fenice sarà aperta. Ma per protesta: un concerto pubblico per mettere in piazza il disastro della lirica. Nei giorni scorsi hanno dimostrato i lavoratori del Regio di Torino. E nella mattinata di venerdì torneranno sul tema in un incontro con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che in serata assisterà alla rappresentazione dei Vespri siciliani di Verdi.
«La verità è che siamo frastornati. L'altro giorno stavamo discutendo con gli altri colleghi dell'Anfols la situazione che si è creata dopo le mancate promesse del reintegro del Fus, che subito dopo è piovuta la notizia del congelamento di altri 27 milioni». Per Giovanni Pacor, sovrintendente al Carlo Felice di Genova, la spiegazione dell'assenza di proteste corali è tutta lì. Nello sbigottimento che non dà tregua.
È però anche vero che sulle modalità da adottare per diffondere all'esterno le dolenti note della lirica – è comunque tutta la cultura che versa, per stessa ammissione del ministero dei Beni culturali, in condizioni disastrose – manca l'unanimità. Per esempio, alla Scala di Milano sono convinti della necessità di farsi sentire e probabilmente il consiglio di amministrazione prenderà decisioni in questo senso. Ma se il modo è quello delle dimissioni in massa dei sovrintendenti, allora non ci stanno. La mossa di Cagli, invece, ha ricevuto l'appoggio di Walter Vergnano, sovrintendente al Regio di Torino.
La diversità di vedute non è di oggi. Se ne aveva avuto sentore nelle vicende interne dell'Anfols, l'associazione che fino a qualche anno fa riuniva tutte le 14 fondazioni liriche. Tra fine 2008 e inizio 2009, però, c'è stata una spaccatura: alcuni enti hanno lasciato l'associazione in disaccordo sul modo di condurre le trattative con il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi, sulla riforma del settore, poi arrivata con la legge 100/2010 e di cui il Parlamento sta in questi giorni esaminando il primo regolamento attuativo. Quella spaccatura non si è mai interamente ricomposta. Alcune fondazioni sono rientrate nell'associazione, ma due "pezzi da novanta" come S. Cecilia e La Scala continuano a restarne fuori.
Da un mese l'associazione ha un nuovo presidente, Francesco Girondini, sovrintendente all'Arena di Verona. Che deve rimettere insieme i pezzi, ma che si è anche trovato nella spiacevole situazione di aver ricevuto dal milleproroghe tre milioni fuori–Fus. Un regalo toccato solo all'Arena e alla Scala – e che è stato attribuito al governo pidiellino e leghista delle due città – ma che Girondini non ha condiviso. E anche al teatro milanese dicono di non riuscire ancora a capacitarsi del perché di un simile benefit, ma spiegano che quei soldi li avrebbero comunque ricevuti se fossero normalmente entrati, così come le altre dodici fondazioni, nella ripartizione dei 15 milioni del fondo stanziati con il milleproroghe.
Quell'unità di intenti che manca (almeno per ora) nella protesta, le fondazioni la recuperano nella diagnosi e nella prognosi del loro male. «Seppure la situazione sia drammatica e sia difficile andare avanti – commenta il sovrintendente Cristiano Chiarot – dobbiamo farlo per il paese e la città in cui lavoriamo e perché dobbiamo salvaguardare un patrimonio storico. Proprio nell'anno in cui si festeggia il 150° dell'Unità d'Italia, non si può distruggere il melodramma, che è l'espressione culturale più significativa del nostro essere uniti».

Tutti insistono sulla necessità di un progetto, che però al momento non c'è. «Non si può tagliare il Fus – afferma Vergnano – senza sapere dove andare a parare. C'è la riforma Bondi, ma è una scatola vuota, perché appesa ai tanti regolamenti attuativi. Va bene cambiare rotta, ma bisogna programmarlo».
Al Regio si preparano a chiudere il bilancio del 2010. «Non penso sarà in pareggio – spiega Vergnano – come invece è accaduto nel 2009. Già l'anno scorso è, infatti, venuta meno una quota significativa di Fus. Siamo costretti ad andare in rosso proprio quando aumentano gli incassi della biglietteria e quelli degli sponsor. Perché le persone continuano a venire a teatro». Come conferma pure Chiarot: «Nonostante la crisi, la famiglia investe nella cultura e i nostri ricavi crescono. Ma da soli non bastano».

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