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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2011 alle ore 09:08.
L'ultima modifica è del 15 marzo 2011 alle ore 06:38.

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Libia. Egitto. Grande Medio Oriente. La politica estera è di nuovo in cima alle priorità americane e, con essa, sono tornati gli intellettuali neoconservatori. Dati per morti ogni due per tre, in realtà sono sempre lì a presidiare le pagine degli editoriali dei giornali liberal americani, a costruire centri studi a Washington, a promuovere politiche ispirate alla "National Greatness".

Bob Kagan e il suo "gruppo di esperti sull'Egitto" sono stati convocati da Barack Obama e lo hanno convinto a scaricare Hosni Mubarak. Paul Wolfowitz scrive sul Wall Street Journal a favore della no-fly zone e degli aiuti ai ribelli in Libia. Il think tank Foreign Policy Initiative, animato da Bill Kristol, domani riunirà esperti di democrazia in Medio Oriente per discutere della primavera araba. A maggio l'analista d'intelligence Reuel Marc Gerecht pubblicherà The wave, l'Onda, un libro sui movimenti liberali mediorientali.
Michael Lind su Slate scrive che «i neoconservatori stanno cercando di convincerci di nuovo a fare la guerra». Non importa che a sostenere la tesi della no-fly zone in Libia e degli aiuti ai ribelli del Medio Oriente ci siano anche l'ex presidente Bill Clinton, il senatore democratico John Kerry, gli editoriali del New York Times, del Washington Post e di New Republic, gli opinionisti di sinistra come Christopher Hitchens e molti altri. Sembra di essere tornati al 2002, al dibattito precedente l'intervento militare in Iraq. Anche allora, prima che le cose andassero male, erano tutti favorevoli a deporre Saddam, salvo poi aver scaricato la colpa intellettuale sui neocon. Questa volta, in più, ci sono anche la Francia e la Lega Araba. Ma l'attenzione resta sul movimento neocon, uno dei più citati e male interpretati dell'ultimo decennio.

In questi giorni, sono usciti negli Stati Uniti due libri che aiutano a capire qualcosa di più. Il primo è una raccolta di saggi del "godfather" dei neoconservatori, Irving Kristol, il padrino intellettuale del movimento: The neoconservative persuasion (Basic Books). Il secondo libro non è una celebrazione del movimento, ma un testo decisamente più critico: Neoconservatism: an obituary for an idea, scritto dal professor Bradley Thompson, area liberista Cato Institute.
I due libri non sono esempi isolati del nuovo protagonismo. Un neoconservatore "dal volto umano" come David Brooks e un ex come Francis Fukuyama hanno appena consegnato due saggi che sono già entrati nel dibattito culturale americano. The social animal di Brooks, columnist del New York Times, è il libro più commentato del momento per come esplora in modo pop, alla Malcom Gladwell, il cervello e i comportamenti umani nel contesto sociale e politico americano. Il libro di Fukuyama, primo di due volumi, non è ancora in vendita (esce ad aprile) ma ha già ricevuto grandi elogi sul New York Times. L'autore di La fine della storia stavolta fa un passo indietro fino alle origini dell'ordine politico per raccontare la trasformazione della società tribale in stato moderno (The origins of political order).

Nei mesi scorsi, inoltre, è uscito Running commentary: the contentious magazine that transformed the jewish left into the neoconservative right, una storia della rivista simbolo del neoconservatorismo, scritta da Benjamin V. Balint. In libreria ci sono anche una biografia del direttore di Commentary, Norman Podhoretz: A biography, scritta da Thomas L. Jeffers, e infine un storia critica del movimento curata da Len Colodny e Tom Shachtman, The forty years war: the rise and fall of the neocons, from Nixon to Obama.
Gli scritti di Kristol, morto nel 2009, sono stati raccolti da sua moglie Gertrude "Bea" Himmelfarb, teorica della superiorità morale dell'illuminismo britannico rispetto a quello francese e intellettuale preferita dall'ex premier laburista inglese Gordon Brown. I saggi di Kristol raccontano la parabola politica del movimento e spiegano che il neoconservatorismo non è un'ideologia, ma «una persuasione», «un modo di pensare», «uno stato d'animo».
La parola neoconservative è stata coniata nel 1973 dal sociologo socialista Michael Harrington sulla rivista Dissent per definire un gruppo di persone di sinistra che contestava la deriva illiberale della sinistra ufficiale. Le cose, col tempo, sono cambiate. Ma se non si capisce che le radici degli intellettuali neoconservatori sono di sinistra non si comprende perché sulle questioni di politica estera spesso marciano uniti agli internazionalisti liberal e nemmeno il motivo per cui sono detestati dai conservatori tradizionali e dai liberisti.

Definire i neocon non è facile. Kristol diceva che un neoconservatore è un liberal assalito dalla realtà, un progressista pragmatico e con i piedi per terra. Daniel Bell, scomparso recentemente, rifiutava l'etichetta di neocon, ma era un altro dei padrini del movimento. Assieme a Kristol nel 1965 ha fondato la rivista Public Interest, l'house organ dei neocon. Bell diceva di essere socialista in economia, progressista in politica e conservatore sulla cultura.
Oggi non è più così. I neoconservatori di seconda generazione non sono socialisti. Ma non sono nemmeno super liberisti, non contestano le grandi riforme sociali del New Deal come fanno (almeno a parole) i conservatori tradizionali e i Tea Party. Rispetto all'epoca d'oro degli anni 60, poi, i nuovi neocon s'interessano più di politica estera che di politiche pubbliche interne. Il loro interesse principale è l'esercizio della leadership americana, la proiezione del potere statunitense come forza del bene, liberale e democratica, nel mondo. Il libro di Thompson racconta un'altra storia. Il professore della Clemson University sottolinea come il neoconservatorismo sia molto più di un pensiero politico pragmatico che si adatta alle situazioni e muta di volta in volta come sostiene Kristol: «Semmai è un sistema filosofico con profonde radici nel pensiero di Leo Strauss», scrive. I neocon, secondo il professore, vogliono rimoralizzare l'America e il mondo creando una nuova religione civile e patriottica: l'americanismo. Un'America dove le persone comuni lavorano duro, vanno in chiesa, sono virtuose, sacrificano se stesse al bene comune, obbediscono agli ordini del governo, combattono le guerre e muoiono per lo Stato. Uno Stato modellato sulle idee di Platone e di Strauss, guidato da un'élite che considera il popolo incapace di autogovernarsi senza l'aiuto e la saggezza di una casta di eletti colti e virtuosi. La descrizione della filosofia politica dei neoconservatori è una via di mezzo tra la dottrina dello stato etico fascista e le accuse di moralismo neopuritano rivolte agli eredi dell'azionismo torinese. Una caricatura, insomma.

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